La combustione illecita di rifiuti pericolosi: una fattispecie di reato autonoma!

Di Marco D’Antuoni

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 29222 del 7 agosto 2025[1], segna un passo decisivo nella lotta contro i roghi tossici, in particolare quelli che coinvolgono rifiuti pericolosi.

Questa decisione, di grande rilevanza per gli organi di polizia giudiziaria ambientale, stabilisce un principio fondamentale: la combustione illecita di rifiuti pericolosi non è una semplice aggravante, ma una fattispecie di reato autonoma.

Da qui ne deriva la conferma che per la condanna non è necessario provare un danno effettivo all’ambiente, ma basta il pericolo concreto.

La svolta giurisprudenziale

Fino a poco tempo fa, la giurisprudenza non era unanime nel qualificare il reato di combustione illecita. La Legge 68/2015, che ha introdotto i delitti ambientali, aveva già inasprito le sanzioni, ma la qualificazione giuridica restava talvolta ambigua.

La Sentenza 29222/2025 chiarisce definitivamente questo aspetto, affermando che la combustione di rifiuti pericolosi è un’offesa così grave da costituire un reato a sé stante, punito più severamente.

Ciò ha due conseguenze pratiche immediate:

  1. Impossibilità del bilanciamento delle pene: La Corte ha escluso la possibilità che la pena per questo reato possa essere “bilanciata” con eventuali attenuanti generiche. Non è possibile, cioè, ridurre la pena in modo significativo, dato il grave danno potenziale che la combustione di rifiuti pericolosi causa alla salute pubblica e all’ambiente.
  2. Facilitazione del lavoro investigativo: La polizia giudiziaria può concentrare le proprie indagini sulla prova della natura pericolosa del rifiuto e sulla sua combustione illecita.

Implicazioni operative per la Polizia Giudiziaria Ambientale

Questa sentenza rafforza notevolmente il ruolo degli agenti sul campo!

L’accertamento non richiede più di dimostrare che il reato sia una mera aggravante di un’altra infrazione, come ad esempio la gestione illecita di rifiuti, ma si concentra sulla prova dei seguenti elementi:

  1. L’evento della combustione: documentare il rogo attraverso rilievi fotografici e video con la realizzazione di un fascicolo fotografico (atti irripetibili) da inviare al Pubblico Ministero; sopralluoghi per cristallizzare lo stato dei luoghi (art.354 c.p.p.); sommarie informazioni (art.351 c.p.p.).
  2. La natura illecita della combustione: accertare che l’atto non sia consentito o che avvenga in un’area non idonea stabilendo, altresì, lo scopo della combustione e se da essa l’autore della stessa combustione potesse ricevere un ingiusto profitto eludendo la normativa ambientale (smaltimento illecito).
  3. La natura pericolosa del rifiuto: l’elemento più critico. Gli agenti devono raccogliere campioni, richiedere analisi chimiche, e documentare la tipologia di materiali bruciati (es. pneumatici, vernici, plastiche industriali, amianto).

La Sentenza 29222/2025 fornisce un quadro giuridico chiaro e un incentivo per gli investigatori a perseguire con determinazione questi atti criminali.


Elementi di prova per l’indagine

Per un’indagine efficace basata sulle indicazioni di questa ultima sentenza n. 29222/2025, è essenziale concentrarsi su quattro punti chiave:

  1. L’evento delittuoso: L’accertamento della combustione illecita. Questo è il primo passo, e spesso il più semplice da documentare. La polizia giudiziaria deve raccogliere prove fotografiche e video, redigere verbali di sopralluogo, e raccogliere testimonianze oculari.

[per questo tipo di attività di polizia giudiziaria l’agente di PG o l’ufficiale PG agisce ai sensi del Codice di Procedura Penale nel Libro III, titolo II che disciplina i mezzi di ricerca della prova attraverso atti tipici]

  • La natura illecita della combustione[2]: Si deve dimostrare che il rogo non è autorizzato, o che avviene in un’area non idonea. Le indagini devono accertare l’assenza di autorizzazioni da parte delle autorità competenti e l’ubicazione del rogo, che spesso avviene in aree rurali, siti abbandonati o capannoni industriali.

[in questo tipo di attività di polizia giudiziaria l’agente di PG o l’ufficiale di PG deve tenere conto della natura del reato, il tipo di condotta andando a ricerca l’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo come previsto nel Codice Penale]

  1. La natura pericolosa del rifiuto: Questo è l’elemento cruciale, e richiede un’indagine approfondita. Non è necessario provare che il rifiuto sia catalogato come pericoloso dal produttore, ma è sufficiente dimostrare che il materiale incenerito contiene sostanze tossiche o dannose. Le indagini devono concentrarsi su:
    1. Identificazione visiva: Riconoscimento del materiale bruciato (es. pneumatici, cavi elettrici, fusti di vernice, amianto).
    2. Campionamento e analisi: Prelevare campioni di cenere e terreno per l’analisi chimica, che può rivelare la presenza di metalli pesanti, idrocarburi e altri inquinanti.
    3. Tracciabilità: Rintracciare la provenienza dei rifiuti, che può portare a un’indagine più ampia sul traffico illecito.

[1]Corte di Cassazione, Sez. III, sent. del 7 agosto 2025, n. 29222.

La Terza Sezione penale, in tema di combustione illecita di rifiuti, ha affermato che la fattispecie delittuosa di cui all’art. 256-bis, comma 1, secondo periodo, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, avente ad oggetto rifiuti pericolosi, costituisce figura autonoma di reato e non circostanza aggravante della fattispecie-base del primo periodo, in ragione della differenza “originaria” tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, con conseguente esclusione dal giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen.

[2] L’elemento soggettivo del reato: A differenza di altri reati ambientali che richiedono il dolo specifico, per questo reato è sufficiente il dolo generico, cioè la semplice consapevolezza e volontà di bruciare un rifiuto, con la conoscenza che il materiale è potenzialmente pericoloso.

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