Nel Decreto Sicurezza novità sull’installazione di telecamere.
Di Carmine Soldano
- INTRODUZIONE: LA VIDEOCAMERA COME PRESIDIO DI LEGALITÀ
Tra le disposizioni più significative contenute nel Decreto-Legge 48/2025, l’art. 21 introduce – e, soprattutto, finanzia – l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza anche in contesti estremamente delicati: i luoghi in cui si trovano persone sottoposte a restrizione della libertà personale. Un’innovazione che, se da un lato risponde alla crescente domanda di trasparenza, legalità e prevenzione degli abusi, dall’altro solleva interrogativi tecnici, etici e giuridici tutt’altro che banali.
- IL CUORE DELLA NORMA: VIDEOSORVEGLIANZA NEI LUOGHI DI PRIVAZIONE DELLA LIBERTÀ
Il comma 2 dell’art. 21 dispone in modo chiaro:
«Nei luoghi e negli ambienti in cui sono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale possono essere utilizzati dispositivi di videosorveglianza.»
Questa previsione si riferisce a:
- camere di sicurezza presso i comandi di Polizia o dei Carabinieri;
- carceri e istituti penitenziari;
- centri di permanenza per i rimpatri (CPR);
- strutture sanitarie per misure di sicurezza detentive.
- LE FINALITÀ: TRASPARENZA, PREVENZIONE, TRACCIABILITÀ
L’adozione della videosorveglianza in contesti di detenzione ha una triplice funzione:
- tutela dei diritti della persona detenuta, attraverso il controllo delle condizioni di trattenimento e la prevenzione di abusi o trattamenti inumani;
- tutela degli operatori, che possono dimostrare la correttezza del proprio operato e prevenire accuse infondate;
- ricostruzione dei fatti, con valore probatorio delle immagini nei procedimenti giudiziari.
- LA COPERTURA FINANZIARIA
Il decreto stanzia quasi 24 milioni di euro dal 2025 al 2027 per dotare le forze dell’ordine di dispositivi di videosorveglianza, sia fissi (ambienti detentivi), sia indossabili. Il Corpo di Polizia Penitenziaria, tuttavia, direttamente coinvolto nella gestione carceraria, riceve solo una quota minimale del finanziamento: 167.750 euro nel 2025 (contro i 2 milioni destinati alla Polizia di Stato e ai Carabinieri). Un segnale che potrebbe tradursi in ritardi operativi proprio dove la sorveglianza visiva è più importante.
- CRITICITÀ NORMATIVE: TRA PRIVACY E DIRITTO ALLA DIFESA
- ASSENZA DI UN QUADRO REGOLAMENTARE ORGANICO
Il provvedimento legislativo de quo non stabilisce:
- quali aree debbano essere videosorvegliate (celle, corridoi, stanze colloqui, infermerie?);
- chi può visionare le immagini, e con quali autorizzazioni;
- per quanto tempo devono essere conservate le registrazioni;
- quali garanzie sono previste per la protezione dei dati personali.
In assenza di un decreto attuativo o di un intervento del Garante per la protezione dei dati personali, il rischio è un’applicazione difforme, se non addirittura illegittima.
- SORVEGLIANZA CONTINUA E DIGNITÀ DELLA PERSONA
Il diritto alla privacy e alla dignità personale non viene sospeso durante la detenzione. Videosorvegliare h24 spazi sensibili – come celle e bagni – potrebbe violare l’art. 8 della CEDU, se non per motivi di sicurezza reali e documentati. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha già sanzionato in passato gli Stati per uso eccessivo o indiscriminato della sorveglianza visiva nelle carceri.
- QUALE EQUILIBRIO? LA SORVEGLIANZA “NECESSARIA E PROPORZIONATA”
Il punto centrale è il seguente: la sicurezza del personale e dei detenuti non può prescindere dal rispetto dei diritti fondamentali. L’installazione delle videocamere nei luoghi detentivi dovrebbe seguire criteri chiari, ovvero:
- valutazione del rischio individuale (detenuti aggressivi o vulnerabili);
- registrazione non costante, ma attivata in base a eventi o turnazioni;
- sorveglianza passiva, con accesso protetto ai dati;
- controlli e audit regolari da parte di organismi indipendenti.
- CONCLUSIONE: UNA SVOLTA UTILE, MA ANCORA DA COSTRUIRE
In nuce, l’art. 21 del Decreto “Sicurezza” si presenta come un tassello di un disegno più ampio, in cui lo Stato sembra privilegiare la dimensione securitaria rispetto a quella garantista. L’estensione della videosorveglianza agli ambienti di restrizione della libertà personale, in assenza di un quadro regolatorio completo, rischia di compromettere i diritti fondamentali più che tutelarli. La decretazione d’urgenza, qui come in molte altre recenti normative emergenziali, viene utilizzata per disciplinare aspetti delicatissimi – come il bilanciamento tra sicurezza e dignità della persona – senza il necessario confronto parlamentare e senza il tempo per consultare le Autorità competenti.
Manca un controllo giurisdizionale strutturato e coerente. Difetta un principio di necessità e proporzionalità realmente operativo. Ma, soprattutto, manca la consapevolezza che l’abuso della tecnologia possa generare una nuova forma di dominio invisibile: non più fondato sulla forza, ma sull’occhio perenne del potere.
Il governo, in tal modo, invia un segnale chiaro: si sceglie di puntare su videocamere fisse e bodycam, anziché investire in formazione, mediazione penitenziaria o nel rafforzamento delle garanzie difensive. La videosorveglianza, da strumento di trasparenza, rischia di trasformarsi in un mezzo per l’esercizio di un controllo sociale generalizzato. Per queste ragioni, un intervento del Parlamento, del Garante della Privacy e della Corte Costituzionale non è soltanto auspicabile, ma indispensabile. Il diritto non può restare immobile dinanzi all’avanzata dell’invasività tecnologica. E, soprattutto, la democrazia non può essere semplicemente registrata: deve essere vissuta, partecipata e tutelata.