Non fa differenza se questi ultimi sono già tossicodipendenti.

Di Michele Mavino

Con la pronuncia 22075 del 12 giugno 2025, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un soggetto condannato per i reati di cui all’art. 82, commi 1 e 3, e agli artt. 110 e 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309/1990, in relazione a condotte di induzione all’uso di sostanze stupefacenti e cessione di droga a un minore infraquattordicenne.

Il caso ruotava attorno alla posizione di un adulto che, secondo l’accusa, avrebbe più volte persuaso un minore all’assunzione di droga, accompagnandolo e incitandolo alla consumazione, anche tramite cessioni illecite intermediando con un terzo soggetto extracomunitario. Le difese si fondavano, tra l’altro, sulla supposta inattendibilità del racconto del minore e sulla pregressa tossicodipendenza di quest’ultimo, al fine di escludere il reato di induzione.

In apertura, la Corte ribadisce un principio ormai consolidato: in presenza di “doppia conforme” – ovvero di due pronunce di merito di identico contenuto – il vizio di travisamento della prova è deducibile in Cassazione solo in casi eccezionali, ossia quando vi sia una macroscopica divergenza tra il compendio probatorio e le motivazioni delle sentenze. Nel caso in esame, invece, i giudici di merito hanno offerto una motivazione coerente e congrua, richiamando anche i tabulati telefonici e la denuncia spontanea della madre del minore, ritenuta priva di risentimento verso l’imputato.

Uno dei punti centrali affrontati dalla Suprema Corte è il significato tecnico e giuridico del concetto di “induzione all’uso di sostanze stupefacenti” di cui all’art. 82 d.P.R. 309/1990. Secondo la difesa, tale figura non sarebbe applicabile in presenza di un soggetto già tossicodipendente, come si pretendeva essere il minore.

La Corte smentisce nettamente tale impostazione, chiarendo che l’art. 82 punisce qualsiasi condotta idonea a determinare, rafforzare o sollecitare la volontà altrui all’uso di sostanze, indipendentemente dal fatto che la persona offesa sia già un consumatore. L’obiettivo della norma è infatti tutelare la libera autodeterminazione e la salute psico-fisica, soprattutto nei soggetti vulnerabili, come i minori. Non è dunque necessario che l’induzione sia “iniziale”: anche una condotta che rafforza o consolida un’abitudine già presente può integrare il reato.

Nel caso specifico, la Corte ravvisa elementi inequivoci di pressione psicologica e attiva persuasione da parte dell’imputato nei confronti del minore: richieste insistenti di denaro, inviti ripetuti a consumare sostanze insieme e almeno un episodio documentato di invito all’uso di cocaina. Questi comportamenti, lungi dall’essere mere “accompagnamenti” passivi, hanno evidenziato una volontà attiva di coinvolgimento del minore nel consumo, realizzando così pienamente il reato contestato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza del 12 giugno 2025, n. 22075

Presidente Di Nicola – Relatore Andronio

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 19 dicembre 2023, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Lucca del 14 marzo 2023, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed euro 2.800,00 di multa, per i seguenti reati: capo 1) art. 82, commi 1 e 3, del d.P.R. 309 del 1990, per avere indotto T.S., minore degli anni quattordici, all’uso illecito di sostanze stupefacenti; capo 2) per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309 del 1990, per aver, fungendo da intermediario con ignoto soggetto extracomunitario, illecitamente ceduto in più occasioni a T.S., minorenne, cocaina, hashish e marijuana, per un peso non quantificabile e comunque per uso personale.

2. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un unico motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione in ordine alla configurabilità del reato di induzione all’uso di sostanze stupefacenti e alla ritenuta attendibilità della persona offesa e dei testimoni esaminati nel corso del processo. Non vi sarebbe alcuna motivazione circa le contraddizioni in cui sarebbe incorso il suddetto nel raccontare l’accaduto e la volontà della madre di quest’ultimo di scaricare su altri la propria responsabilità genitoriale. Inoltre, la Corte avrebbe omesso di considerare la pregressa dedizione del minore all’uso di sostanze stupefacenti; circostanza, questa, che renderebbe non configurabile il reato di induzione contestato all’imputato. Infine, la circostanza indicata nella sentenza, a mente della quale il minore e l’imputato si sarebbero recati in località (OMISSIS) per vendere una collana d’oro di proprietà del minore e acquistare sostanza stupefacente, mal si confronterebbe con le risultanze istruttorie, dal momento che il cellulare dell’imputato, quel giorno, sarebbe rimasto agganciato alle celle di (OMISSIS).

2.2. La difesa ha depositato memoria, con la quale insiste in quanto già dedotto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Preliminarmente, va ricordato che la doppia conformità delle decisioni di condanna ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti di deducibilità in cassazione del vizio di travisamento della prova (ex plurimis, Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Rv. 280155; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018). Esso può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti.

Fatta questa premesse, va rilevato che la Corte di merito, contrariamento alla prospettazione difensiva, ha offerto ampia motivazione circa le critiche sollevate in appello – aventi ad oggetto la ritenuta attendibilità dei testi, ed in particolare del minore, riproposte integralmente in questa sede – le quali muovono da una visione meramente parziale dei fatti oggetto di contestazione (pagg. 4 e 5 del provvedimento). Quanto alla circostanza che l’imputato non si sarebbe recato a (OMISSIS) e all’inattendibilità della madre del minore, la Corte d’appello evidenzia il fatto che fu la donna recarsi dai carabinieri per denunciare il comportamento dell’imputato e la stessa non aveva alcuna ragione di preesistente risentimento; mentre il viaggio a (OMISSIS) è confermato dai tabulati telefonici, oltre che dal racconto accusatorio della vittima, soggetto sicuramente vulnerabile, ma non inattendibile.

In merito alla doglianza relativa alla mancata configurabilità al caso di specie del reato di induzione all’uso di sostanza stupefacente, è da rilevare come la motivazione giuridica posta a fondamento della sentenza di appello non sia stata specificamente censurata nel ricorso, il quale, invece, si concentra su un diverso profilo, ovvero lo stato di tossicodipendenza della persona offesa.

La suddetta argomentazione risulta, tuttavia, irrilevante ai fini della sussumibilità della condotta alla fattispecie oggetto di contestazione, in quanto non incide direttamente sulla questione dell’induzione, limitandosi ad affermare in punto di diritto che quest’ultima non sarebbe configurabile nel caso di soggetti tossicodipendenti. Né la difesa non fornisce elementi concreti idonei a dimostrare, in punto di fatto, la sussistenza di tale condizione nel minore.

In ogni caso, deve osservarsi che la ratio della norma incriminatrice (art. 82 del d.P.R. 309 del 1990) è quella di sanzionare qualsiasi condotta idonea a determinare o incentivare la volontà altrui di fare uso di sostanze stupefacenti, a prescindere dall’eventuale pregresso consumo da parte della persona offesa. Dunque, la circostanza che il minore abbia già in precedenza fatto uso di sostanze stupefacenti non incide in alcun modo sulla configurabilità del reato, dal momento che la norma in questione ha una finalità di tutela generale ed individuale, mirata a prevenire qualsiasi forma di influenza o persuasione sull’altrui volontà. Ne consegue che, ai fini della punibilità, risulta sufficiente accertare che la condotta dell’agente abbia avuto l’effetto di indurre o confermare la decisione della persona offesa, non essendo necessario accertare se quest’ultima fosse già consumatrice di stupefacenti.

Quanto alla condotta in concreto tenuta adottata dall’imputato, è necessario ribadire che il delitto di induzione all’uso di sostanze stupefacenti, aggravato dalla minore età del soggetto passivo, sussiste quando la condotta dell’agente si caratterizza per la coazione psicologica del soggetto passivo ovvero si risolve nell’apprezzabile sollecitazione, suggestione, persuasione del medesimo al fine di determinarlo al consumo della droga, dovendosi invece escludere che l’elemento oggettivo del suddetto reato sia integrato attraverso la richiesta o l’invito ad utilizzare lo stupefacente ovvero quando lo stesso agente si limiti a rafforzare la decisione assunta autonomamente dal minore di procedere a tale utilizzo (Sez. 6, n. 17506 del 08/02/2024, Rv. 286416; Sez. 6, n. 32387 del 30/08/2010, Rv. 248041).

Ebbene, è chiaro che per “induzione” debba intendersi qualsiasi condotta idonea a persuadere, convincere o determinare il soggetto passivo a compiere determinati atti. E nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, il comportamento dell’imputato non si è limitato all’utilizzo della sostanza in compagnia del minore, ma si è concretizzato in un vero e proprio atto di persuasione nei suoi confronti, provato dalle continue richieste di denaro che l’imputato rivolgeva al minore e dai numerosi inviti ad andare a consumare insieme sostanza stupefacente, insistendo affinché il minore facesse uso di hashish, marijuana e, almeno in un caso, di cocaina (pag. 3 della sentenza).

2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’alt. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Condividi questo articolo!