Alcoltest: dal rifiuto alla responsabilità

Di Giuseppe Vecchio

Con la sentenza n. 29693/2025, la Cassazione Sez. quarta, richiama un principio ormai consolidato: il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest costituisce “reato istantaneo”, che si perfeziona nel momento stesso in cui viene “espresso”. Nessuno spazio, quindi, per nullità o inutilizzabilità legate all’omesso avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore: quella garanzia opera a tutela della correttezza del test, non della scelta di sottrarvisi.

Il caso. Una pattuglia dei Carabinieri interviene in seguito a un sinistro stradale e trova il conducente con sintomi evidenti di ebbrezza: alito vinoso, occhi arrossati, difficoltà di parola e di coordinamento. Alla richiesta di sottoporsi all’alcoltest, l’uomo rifiuta seccamente. Solo dopo tre ore, mentre i militari stanno formalizzando gli atti, dichiara di essere disponibile all’accertamento. Ma a quel punto il reato di rifiuto ex art. 186, co. 7, CdS si è già consumato.

Nel ricorso l’imputato invoca la nullità del verbale, sostenendo che avrebbe dovuto ricevere l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore. La difesa ritiene che tale omissione abbia compromesso le sue garanzie costituzionali. La Cassazione però ribadisce che l’obbligo di avviso sussiste solo in caso di effettivo svolgimento dell’alcoltest, non quando vi è stato un rifiuto.

La logica della Corte è lineare: il rifiuto precede il momento in cui entrano in gioco gli strumenti di difesa legati a un atto tecnico irripetibile. Una volta detto “no”, la fattispecie si consuma e non è possibile rimediare con un successivo ripensamento, neppure immediato.

Questo porta a una riflessione non secondaria. L’ordinamento, infatti, non punisce in questi casi lo stato di ebbrezza – che resta da accertare – ma la condotta di sottrazione al controllo. La sanzione penale nasce dunque non dall’alcol nel sangue, ma dall’atto stesso di rifiuto, che la legge qualifica come “ostacolo” alla corretta attività di verifica.

La pronuncia, pur nel solco di un orientamento noto, invita a interrogarsi sul ruolo delle garanzie difensive: quanto incidono, oggi, se restano escluse proprio nel momento in cui la decisione dell’interessato produce effetti irreversibili dal punto di vista penale?

La Suprema Corte ha fornito una risposta chiara: il rifiuto è reato, immediato e autonomo. Spetta ora al dibattito giuridico interrogarsi se questa impostazione sia sufficiente a bilanciare l’esigenza di accertamento con la tutela effettiva dei diritti individuali.

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