Europol ed Intelligenza Artificiale

Una grande opportunità. ma anche la necessità di una profonda riflessione.

Di Michele Mavino

Il rapporto dell’Europol Innovation Lab ci restituisce una fotografia chiara di come l’intelligenza artificiale stia cambiando il modo di “fare polizia” in Europa. L’impressione che emerge è quella di una fase di transizione profonda: le tecnologie digitali, e in particolare l’IA, non rappresentano più semplicemente un supporto tecnico, ma stanno diventando strumenti che incidono direttamente sulle strategie, sui processi investigativi e sulla gestione della sicurezza pubblica. Di fronte a un panorama criminale sempre più complesso, globalizzato e digitale, l’IA si propone come una risorsa in grado di offrire risposte più rapide, più efficaci e più intelligenti rispetto ai metodi tradizionali.

Negli ultimi anni le forze dell’ordine si sono trovate a gestire una mole crescente di dati: comunicazioni digitali, immagini e video provenienti da telecamere, tracce informatiche, informazioni pubblicate sui social media e molto altro. Senza strumenti avanzati sarebbe impossibile analizzare e trasformare queste informazioni in elementi utili alle indagini. L’intelligenza artificiale, da questo punto di vista, rappresenta un’alleata preziosa: permette di individuare collegamenti tra fatti apparentemente scollegati, riconoscere schemi ricorrenti nelle attività criminali, e in generale “leggere” la complessità con una rapidità che l’occhio umano non può garantire.

Il rapporto dedica ampio spazio alle applicazioni pratiche. Oltre alla possibilità di analizzare enormi quantità di dati e trarne indicazioni utili per l’attività investigativa e per la pianificazione dei servizi, l’IA sta trovando applicazione nella cosiddetta “polizia predittiva”, cioè in quei sistemi che provano a stimare dove e quando potrebbero verificarsi reati, oppure quali individui potrebbero essere maggiormente esposti al rischio di compierli. È una prospettiva affascinante, che potrebbe consentire un impiego più mirato delle risorse e interventi preventivi più efficaci. Tuttavia, è evidente come ciò apra anche scenari complessi dal punto di vista etico: il confine tra previsione statistica e profilazione discriminatoria è estremamente sottile, e merita particolare attenzione.

Allo stesso modo, l’automazione dell’analisi delle informazioni provenienti da Internet e dai social media – l’OSINT e il SOCMINT – sta assumendo un ruolo decisivo nelle indagini contemporanee, soprattutto nel contrasto al terrorismo, alla radicalizzazione online, alle truffe telematiche e ai reati che coinvolgono minori. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale consente non solo di raccogliere dati, ma di interpretarli più velocemente, individuando segnali di rischio o contenuti dannosi prima che si diffondano. È un aiuto importante, ma richiede di non perdere mai di vista i diritti alla libertà di espressione e alla riservatezza, per evitare derive verso forme indiscriminate di controllo sociale.

Un’altra dimensione fondamentale riguarda la biometria e l’analisi video. L’uso dell’IA per riconoscere volti, oggetti o comportamenti sospetti all’interno di flussi di immagini genera un potenziale enorme in termini di prevenzione e sicurezza pubblica: pensiamo alla possibilità di individuare in tempo reale un minore scomparso o una persona ricercata. Tuttavia, proprio queste tecnologie sono al centro del dibattito sulla sorveglianza: più cresce la loro capacità di riconoscere e classificare, più aumenta il rischio di un controllo diffuso e non proporzionato sulla popolazione.

Ed è qui che il rapporto introduce un tema chiave: il quadro normativo europeo. Con l’AI Act, l’Unione Europea ha scelto una strada precisa, imponendo paletti e garanzie affinché l’innovazione tecnologica non vada a discapito dei diritti. Molti strumenti di IA utilizzati nelle attività di polizia saranno considerati “ad alto rischio” e quindi sottoposti a requisiti stringenti in materia di qualità dei dati, trasparenza, supervisione umana e tutela della privacy. Alcuni utilizzi – come il riconoscimento biometrico in tempo reale negli spazi pubblici – saranno vietati salvo eccezioni specifiche e molto controllate. Ciò significa che le forze dell’ordine non solo dovranno prestare maggiore attenzione nell’introdurre nuove tecnologie, ma potrebbero essere chiamate a rivedere strumenti già in uso.

Il documento insiste su un principio centrale: l’adozione dell’IA nella polizia non deve limitarsi alla dimensione tecnologica, ma deve inserirsi in una riflessione più ampia di tipo culturale, etico e organizzativo. Per utilizzarla in modo efficace e responsabile serviranno competenze nuove, formazione specifica, investimenti e soprattutto un lavoro costante di comunicazione e trasparenza nei confronti dei cittadini. La fiducia pubblica è essenziale: senza di essa, anche la tecnologia più innovativa rischia di produrre effetti opposti a quelli desiderati.

In conclusione, l’impressione che si ricava dal rapporto è quella di una sfida a “doppio binario”. Da un lato, l’IA può offrire alle forze dell’ordine strumenti più efficaci per proteggere le comunità, investigare e prevenire i reati. Dall’altro, proprio perché estremamente potente, richiede un utilizzo ancora più attento, bilanciato e responsabile. La sostenibilità dell’innovazione in ambito di sicurezza non si misurerà solo sulla base dei risultati operativi, ma anche sulla capacità di garantire che i diritti, le libertà e i valori democratici rimangano pienamente tutelati.

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