Di Michele Mavino
L’ordinanza della Corte di Cassazione nr 29798 depositata il 12 novembre scorso offre uno spaccato estremamente interessante sul tema della responsabilità della Pubblica Amministrazione per immissioni intollerabili derivanti dal traffico veicolare, nonché sull’ambito entro il quale il giudice ordinario può spingersi nel disporre misure di tipo conformativo, anche a contenuto “provvedimentale”, senza sconfinare nell’area riservata alla discrezionalità amministrativa.
La vicenda riguarda alcune famiglie residenti lungo il tratto urbano di via del Foro Italico a Roma, che lamentano immissioni acustiche e di polveri sottili dovute all’intenso traffico. La Corte di appello aveva non solo riconosciuto un risarcimento più elevato, ma anche imposto a Roma Capitale l’adozione di misure correttive, tra cui la riduzione del limite di velocità a 30 km/h e l’installazione di pannelli fonoassorbenti. Roma Capitale ricorreva sostenendo, tra le altre cose, l’invasione della sfera di discrezionalità attribuita agli enti locali in materia di circolazione stradale.
La Cassazione afferma il principio secondo cui quando le immissioni (acustiche o ambientali) sono intollerabili e sono riconducibili alla gestione di un bene pubblico da parte della P.A., il giudice ordinario può condannare l’amministrazione non solo al risarcimento pecuniario, ma anche a un facere idoneo a rimuovere la situazione lesiva.
Non si tratta, sottolinea la Corte, di imporre un atto autoritativo o una scelta discrezionale (come l’esercizio del potere ex art. 7 e ss. Codice della Strada), bensì di ordinare un intervento necessario per far cessare un illecito civile in base al principio del neminem laedere. Tale misura rientra nell’art. 2058 c.c.: reintegrazione in forma specifica.
Ne consegue che la disposizione del limite di 30 km/h non è vista come imposizione di un provvedimento amministrativo in senso stretto, ma come una modalità concreta per ridurre l’impatto delle immissioni nocive. È irrilevante, quindi, che l’art. 142 C.d.S. affidi alla P.A. il potere di fissare i limiti: qui la P.A. è obbligata a rimuovere una situazione illecita, e l’indicazione del giudice è uno strumento per il raggiungimento di tale obbligo.
Il ricorso criticava fortemente l’accertamento sulle polveri sottili, sostenendo che la Corte d’appello avesse fatto riferimento ai rilevamenti ARPA del vicino Corso Francia anziché basarsi solo sulla CTU. Tuttavia, la Cassazione ribadisce un punto fondamentale:
la scelta delle fonti di convincimento e la valutazione del materiale probatorio spettano in via esclusiva al giudice di merito, e il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione fattuale. La censura viene quindi dichiarata inammissibile perché maschera una richiesta di rivalutazione dei fatti, estranea al giudizio di cassazione.
Il Collegio chiarisce anche che non vi è alcun nesso logico tra la questione delle polveri sottili e l’ordine di installare barriere fonoassorbenti: l’inquinamento acustico era già stato ritenuto intollerabile di per sé.
La Cassazione respinge le contestazioni sulla liquidazione equitativa di € 10.000 per ciascun attore. La P.A. lamentava violazione dell’art. 2697 c.c., ma la Corte ricorda che la violazione dell’onere della prova è configurabile solo quando il giudice attribuisce l’onere probatorio alla parte sbagliata. Nel caso concreto, si discuteva invece della valutazione delle prove, che avrebbe dovuto essere censurata – se del caso – sotto il profilo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., cosa che non è avvenuta.
La motivazione della liquidazione è ritenuta congrua e non illogica.










