Podcast – Terre e Rocce da scavo

Il MASE prova a fare chiarezza sulla linea di demarcazione tra rifiuto e sottoprodotto.

Di Michele Mavino

Il parere del 22 luglio 2025 del Ministero dell’Ambiente interviene su un tema di particolare rilievo operativo e giuridico: la gestione delle terre e rocce da scavo. Si tratta di un ambito nel quale, da diversi anni, il legislatore ha cercato di tracciare una linea di demarcazione chiara tra ciò che deve essere considerato un rifiuto e ciò che, al contrario, può essere gestito come un sottoprodotto. Tale distinzione non è di mero rilievo formale, poiché comporta conseguenze concrete in termini di obblighi documentali, modalità di trasporto e possibili profili sanzionatori.

Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dal Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 152/2006), che definisce le categorie di rifiuti e le regole generali per la loro gestione, e dal D.P.R. 120/2017, che disciplina in modo organico le modalità con cui le terre e rocce da scavo possono essere considerate sottoprodotti e non rifiuti. Il principio cardine è che tali materiali possono essere esclusi dalla disciplina sui rifiuti quando sono prodotti nell’ambito di lavori di scavo, hanno una destinazione certa e immediata per un riutilizzo specifico, non presentano livelli di contaminazione superiori ai limiti di legge e sono accompagnati da un piano di utilizzo regolarmente approvato.

Il parere ministeriale ribadisce la necessità di prestare attenzione a questi requisiti, sottolineando come la gestione delle terre da scavo senza un’adeguata pianificazione o senza un effettivo e dimostrabile riutilizzo le faccia ricadere automaticamente nel regime dei rifiuti, con tutte le implicazioni sanzionatorie del caso. Un aspetto rilevante è anche quello della tracciabilità: il produttore deve poter dimostrare in ogni momento la destinazione del materiale, fornendo la documentazione richiesta e garantendo l’assenza di rischi ambientali derivanti da depositi incontrollati o da conferimenti non autorizzati.

Questo approccio, se da un lato semplifica l’attività delle imprese che operano secondo piani approvati, dall’altro lascia emergere alcune criticità interpretative. In particolare, la distinzione tra sottoprodotto e rifiuto può risultare sottile, soprattutto in presenza di depositi temporanei o di incertezze sulla destinazione finale dei materiali. Anche la gestione dei tempi di deposito e di trasporto è un punto sensibile, perché la normativa richiede un utilizzo tempestivo e pianificato, escludendo l’accumulo prolungato senza giustificazione tecnica.

Per quanto riguarda le ricadute operative sulle amministrazioni comunali e, in particolare, sulla polizia locale, il parere evidenzia indirettamente un ruolo che, pur non essendo primario come quello di ARPA o delle province, può rivelarsi strategico. La polizia locale, infatti, è spesso il primo presidio di controllo sul territorio e può trovarsi a intervenire in casi di abbandono di materiali, di trasporto privo della documentazione prevista o di gestione difforme da quanto dichiarato nei piani di utilizzo. In tali situazioni, l’attività di accertamento si innesta nelle disposizioni del Codice dell’Ambiente, in particolare nell’articolo 255, che sanziona l’abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti, e richiede spesso una stretta collaborazione con ARPA e con gli uffici tecnici comunali per la verifica della natura del materiale e della correttezza delle procedure adottate.

Condividi questo articolo!