Il TAR conferma il principio del “giudizio prognostico”.
Di Giuseppe Vecchio
Nessuna condanna definitiva, nessun procedimento concluso. Solo un processo pendente davanti al Giudice di Pace per minacce ai sensi dell’art. 612 c.p., maturato in un litigio tra confinanti per questioni di terreno. Eppure, tanto è bastato alla Questura per respingere la richiesta di porto d’armi sportivo, e al TAR Lazio per confermare quel diniego.
Con la sentenza 15499/2025 sez. prima ter., il Tribunale Amministrativo Lazio ha ribadito un principio ormai consolidato: l’Autorità di Pubblica Sicurezza dispone di un ampio margine di discrezionalità nella valutazione dell’affidabilità di chi richiede o detiene un’arma.
Una discrezionalità che può fondarsi anche su fatti non penalmente rilevanti o su procedimenti ancora in corso, purché tali elementi facciano emergere dubbi sulla piena affidabilità del soggetto.
La ratio? Evitare, in via preventiva, il rischio di un uso improprio dell’arma. Non serve attendere una condanna: l’analisi è di tipo “prognostico e precauzionale”. In altri termini, non conta solo ciò che è avvenuto, ma ciò che, secondo un giudizio prudenziale, potrebbe accadere.
Il TAR precisa che tali decisioni non possono essere irrazionali o arbitrarie, ma devono basarsi su elementi concreti. Tuttavia, il confine tra prudenza e limitazione di un diritto si fa sottile: basta un procedimento ancora aperto anche di lieve entità per escludere l’accesso alle armi.
Questo orientamento ribadisce che, in materia di armi, la presunzione d’innocenza lascia il passo a un principio di “presunzione di impeccabilità”. Chi vuole detenere un’arma deve dimostrare di non aver mai fornito alcun appiglio a dubbi sulla propria affidabilità.
Un messaggio chiaro: la sicurezza pubblica viene prima della libertà individuale di possedere un’arma. Una scelta che, se da un lato rassicura, dall’altro spinge a chiedersi fino a che punto il sospetto possa diventare legge.