Podcast – Perquisizioni di carta

Tra diritto e arbitrio nel cuore di Torino

Di Carmine Soldano

“Quis custodiet ipsos custodes?”, si chiedeva Giovenale. Chi sorveglia i sorveglianti? La domanda, antica quanto il potere stesso, risuona oggi tra le arcate della giustizia torinese, dove otto agenti della Polizia Locale sono indagati per perquisizione personale arbitraria, ex art. 609 del codice penale. Un’accusa che affonda il bisturi nell’essenza del potere coercitivo statuale, interrogando non solo la legittimità dell’azione amministrativa, ma anche il confine tra legalità e abuso.

  1. IL FATTO. UNA SCENA URBANA: TRA BIGLIETTI MANCANTI E SMARTPHONE SCOMODI

In un assolato pomeriggio torinese del 3 ottobre 2024, una ragazza viene sorpresa senza biglietto a bordo di un mezzo pubblico. L’intervento degli Agenti della Polizia Locale prende pieghe inaspettate: identificazione difficoltosa, perquisizione personale da parte di un’agente donna e, fatto ancor più controverso, un rider che filma la scena che, ipso facto, viene anch’egli perquisito. Un gesto che, secondo l’accusa, si configurerebbe non solo come “ultra vires”, ma come una possibile intimidazione alla libertà di informazione. La Procura di Torino, ritenendo ingiustificato l’uso della forza pubblica, contesta agli agenti il ricorso abnorme e strumentale alla norma eccezionale dell’art. 4 della Legge 152/1975, la cosiddetta Legge Reale.

  1. ANALISI DELLA NORMA INVOCATA

L’articolo 4 della Legge 22 maggio 1975, n. 152 attribuisce alle Forze dell’Ordine la possibilità di procedere in loco a perquisizioni personali senza previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, quando sussistano “eccezionali ragioni di necessità e urgenza” per accertare il possesso di armi, esplosivi o strumenti di effrazione. Tuttavia, è proprio sul concetto di eccezionalitàche si gioca la legittimità dell’intervento. La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che non è sufficiente un vagum suspicium, ma è necessario che vi sia un pericolo concreto e attuale per l’incolumità pubblica. Nel caso di specie, il contesto, ovvero un controllo a bordo di un bus per evasione del titolo di viaggio, appare carente di quegli elementi sintomatici di pericolosità immediata tali da giustificare una perquisitio sine mandato.

  1. IL DIRITTO ALLA DOCUMENTAZIONE: IL CASO DEL RIDER E LA LIBERTÀ DI RIPRESA

Ancora più inquietante appare il trattamento riservato al rider che, armato di cellulare e senso civico, riprende l’intervento. La sua azione, perfettamente legittima ai sensi dell’art. 21 della Carta Costituzionale, oltre che conforme a quanto dettato dalla Corte EDU nel caso Butkevich c. Russia, 13 febbraio 2018, si è scontrata con una reazione repressiva che rischia di configurarsi come una violazione della libertà di cronaca. Se è vero che la legge punisce la diffamazione e la diffusione illecita di immagini (art. 167 del Codice Privacy, D.lgs. 196/2003), è altrettanto vero che riprendere un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, in luogo pubblico, non è di per sé illecito, come chiarito dalla Cassazione penale (sez. V, n. 47165/2017).

Sebbene il vigente Codice Privacy preveda sanzioni per la diffamazione e la diffusione illecita di immagini, la ripresa di un pubblico ufficiale mentre svolge le proprie funzioni in un luogo pubblico non costituisce automaticamente un reato, come affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione V, con sentenza n. 47165 del 2017.

  1. METAFORE DI DIRITTO: LA BILANCIA, LA SPADA… E LO SPECCHIO

L’azione della polizia, in un ordinamento democratico, non è mai imperium assolutum. È potere temperato: una spada che la legge affida solo a chi sa usarla con misura. La perquisizione personale richiede iusta causa e proporzionalità. Senza questi elementi, il gesto si trasforma in arbitrio, e l’uniforme in toga dell’arroganza. Il diritto non può essere solo bilancia o minaccia, ma deve anche essere specchio, in cui ogni cittadino, persino il più umile e marginale, possa riconoscersi tutelato. Quando questo specchio si incrina, anche la fiducia si sgretola. Ad abundantiam, come ha confermato la Corte EDU in Gillan e Quinton, fermare e perquisire senza ragione concreta significa violare il “cuore” del diritto alla vita privata.

  1. CONCLUSIONE: UN’OCCASIONE PER RIFONDARE LA LEGITTIMITÀ OPERATIVA

Questo episodio, al di là delle responsabilità individuali che saranno accertate in iudicio, deve essere monito per l’intera comunità professionale della Polizia Locale. Serve una riflessione profonda sul senso del potere e sulla necessità di formare operatori capaci di coniugare legalità e umanità, procedura e discernimento, norma e sensibilità. Nel rispetto della massima “summum ius, summa iniuria”, è essenziale che l’applicazione del diritto non si trasformi in una forma di sopraffazione vestita da legalità.

Condividi questo articolo!