di Stefano MANINA
La Corte costituzionale con la sentenza 7 novembre 2025 (ud. 22 settembre 2025), n. 166 si è pronunciata, dichiarandole non fondate, sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 85-bis del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) – come modificato dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123 convertito, con modificazioni, nella legge 13 novembre 2023, n. 159 – sollevate dal Tribunale ordinario di Firenze.
Più nel dettaglio i Giudici Costituzionali hanno ritenuto legittima anche in caso di condanna per reati di lieve entità in materia di stupefacenti, la previsione della confisca di tutti i beni sproporzionati rispetto al reddito di cui il condannato sia trovato in possesso e di cui non riesca a giustificare la legittima provenienza.
Infatti non è stata ritenuta irragionevole la presunzione che tali beni siano stati acquistati mediante una più ampia attività criminosa.
Attenzione però che la confisca non può essere disposta se le circostanze del caso concreto inducono invece il giudice a ritenere che i beni non costituiscano il profitto di precedenti reati.
Non solo ma con la sentenza in questione sono state dichiarate non fondate, nei sensi meglio precisati in motivazione, una serie di questioni.
Ma partiamo dall’ inizio……
Come si legge nel comunicato stampa della Corte Costituzionale la stessa era stata interessata dal Tribunale di Firenze che aveva sollevato una serie di questioni sulla estensione della confisca cosiddetta “allargata” ai reati di “piccolo spaccio” operata dal decreto-legge 159 del 2023 (il cosiddetto “decreto Caivano”).
Le cause in questione tutte di competenza del Tribunale di Firenze ma appartenenti a diversi procedimenti riguardavano la responsabilità penale di due imputati, ai quali erano state sequestrate modeste quantità di stupefacenti destinate allo spaccio.
In entrambi i casi, la polizia giudiziaria avevano rinvenuto nella disponibilità degli imputati poche migliaia di euro in contanti che non potevano essere considerate come il profitto diretto dei singoli reati di detenzione a fini di spaccio accertati.
Tuttavia tali somme di denaro, in seguito all’entrata in vigore del decreto Caivano, erano divenute assoggettabili alla confisca allargata prevista dall’articolo 240-bis del codice penale che ricordiamo stabilisce che in caso di condanna per una serie di reati, il giudice deve ordinare la confisca di tutti i beni dei quali il condannato abbia la disponibilità e che risultino sproporzionati rispetto al suo reddito dichiarato, a meno che questi non riesca a giustificarne la legittima provenienza.
La Corte ha ritenuto che la scelta legislativa di prevedere questo tipo di confisca anche per i fatti di “piccolo spaccio”, oltre che per altri reati ai quali era già applicabile, non è costituzionalmente illegittima.
Il convincimento dei Giudici costituzionali si fonda sul presupposto esperienziale che la modestia dei profitti che derivano dalle singole attività di cessione o di coltivazione di piccoli quantitativi di sostanze stupefacenti non è di per sé incompatibile con il fondato presupposto che i loro autori soprattutto quando siano privi di occupazione stabile e regolare spesso traggono abitualmente i propri redditi proprio da quelle attività.
E pertanto non risulta irragionevole prevedere la confisca dei beni di cui essi siano trovati in possesso in attuazione anche degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea per la generalità dei reati in materia di stupefacenti.
Tuttavia come imposta dalla Costituzione e dallo stesso diritto dell’Unione europea l’istituto della cosiddetta confisca allargata è stato ritenuto soggetto ad alcune condizioni e limiti.
Per prima cosa il giudice dovrà accertare uno “squilibrio incongruo e significativo” tra beni dichiarati e posseduti, con riferimento al periodo in cui i beni stessono stati acquisiti.
In secondo luogo, all’imputato dovrà essere assicurata una effettiva possibilità di contestare la presunzione di origine criminosa dei beni, attraverso la produzione di elementi che rendano credibile la provenienza illecita dei beni.
In terzo luogo, i beni dovranno essere stati acquistati in un momento non eccessivamente lontano da quello in cui il reato è stato commesso.
Infine, il giudice non potrà comunque applicare la confisca allargata allorchè il fatto di reato appaia non già espressivo di un habitus criminale dal quale l’autore abbia verosimilmente tratto profitti illeciti, ma piuttosto risulti isolato o, comunque, occasionale”.
La Corte ha ritenuto invece che non sussistano ostacoli di ordine costituzionale all’applicazione di questa confisca anche nel caso in cui il reato sia stato commesso prima dell’entrata in vigore del decreto Caivano in quanto la confisca allargata non ha la finalità di inasprire la pena per il condannato, ma piuttosto quella di “impedire che egli possa continuare a godere di beni da lui illecitamente acquisiti attraverso precedenti condotte criminose”.
Infatti La natura della misura è da ritenersi, ripristinatoria, e non punitiva consentendo l’applicazione retroattiva della legge penale.
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale in commento.










