Di Stefano Manzelli
Quando il sindaco trasforma Facebook nell’albo pretorio personale corre il rischio di scivolare sulla privacy. E in tal caso ne risponde personalmente davanti all’Autorità di controllo. Il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 23 ottobre 2025 n. 627 fotografa una tendenza diffusa. Il sindaco che usa il proprio profilo social come canale parallelo dell’amministrazione. A Calvi Risorta il primo cittadino ha pubblicato su profilo e pagina Facebook, gestiti personalmente, i nominativi dei concittadini positivi al covid-19, anche minorenni, e fotografie di bambini durante la vaccinazione. L’Autorità chiarisce che non si tratta di comunicazione privata. I dati giungono al sindaco perché è il rappresentante della collettività. I post sono rivolti indistintamente alla cittadinanza e mirano a orientare i comportamenti rispetto al contagio. Il trattamento è quindi riconducibile all’esecuzione di compiti di interesse pubblico, svolto tramite strumenti personali, e il titolare è il sindaco in quanto persona fisica, non il comune. Da questo inquadramento discende il giudizio sulle giustificazioni offerte. Il consenso formale o informale degli interessati e dei genitori dei minori non può fungere da base giuridica per un trattamento di questo tipo. Per i soggetti pubblici il fondamento deve essere una norma di legge, di regolamento o un atto amministrativo generale, non la disponibilità del singolo. Neppure il richiamo ai poteri emergenziali del Tuel e alla normativa Covid muta il quadro. Le misure d’urgenza hanno permesso trattamenti e comunicazioni tra soggetti legittimati, ma non la diffusione nominativa di dati sanitari su piattaforme aperte. Le condotte sono qualificate come diffusione di dati relativi alla salute e di immagini di minori, in violazione del divieto di cui all’art. 2-septies e dei principi di liceità, correttezza e trasparenza. La violazione è ritenuta di gravità media. Il contesto emergenziale e la rimozione successiva dei contenuti contribuiscono a contenere la sanzione pecuniaria, fissata in 1.000 euro, ma non evitano la pubblicazione dell’ordinanza ingiunzione e l’annotazione nel registro interno delle violazioni.










