Quando il Comune si fa legislatore

11067 Pavimentazione stradale

Il TAR sull’autonomia regolamentare “ribelle”.

Di Giuseppe Vecchio

La sentenza del TAR Calabria 02069/2025 R.P.C. si colloca nel filone ormai consolidato di pronunce che “ricordano” agli enti locali un principio per certi versi “elementare”: l’autonomia regolamentare non corrisponde a “sovranità normativa”.

Un Comune, con la Deliberazione di Giunta adotta un “Disciplinare per la salvaguardia delle pavimentazioni stradali” subordinando il rilascio delle autorizzazioni per interventi sulla sede stradale alla presentazione di un deposito cauzionale mediante fideiussione bancaria o assicurativa.

Una misura condivisibile anche alla luce dei “disastri” presenti sulle nostre strade a seguito di interventi non correttamente ripristinati, giustificata in nome della tutela del patrimonio pubblico, ma che in realtà si rivela una prestazione patrimoniale indiretta, e peraltro contra legem.

La Corte nel sottolineare che l’art. 49, comma 11, del d.lgs. n. 259/2003 in coerenza con la Direttiva 2002/21/CE preclude agli enti locali di imporre agli operatori di telecomunicazioni oneri, prestazioni o canoni diversi da quelli espressamente previsti dalla legge, sancisce che vincolare l’autorizzazione alla prestazione di una fideiussione introduce indirettamente un requisito economico ulteriore e selettivo, che difatti diventa così uno strumento surrettizio di “regolazione del mercato” in palese contrasto con i Trattati.

La parte però più interessante della sentenza è quella dedicata al rapporto tra annullamento e disapplicazione del regolamento contra legem. Il TAR ribadisce un principio spesso frainteso, l’annullamento giurisdizionale degli atti amministrativi è soggetto al principio della domanda, la disapplicazione, invece, è espressione di un potere ufficioso del giudice, funzionale alla risoluzione delle antinomie normative secondo il criterio gerarchico delle fonti.

Ne deriva che se il regolamento è esso stesso l’atto presupposto illegittimo, dal quale discende il provvedimento applicativo, il ricorrente deve impugnarlo espressamente ai sensi dell’art. 29 Codice del Processo Amministrativo, pena l’impossibilità per il giudice di procedere al suo annullamento.

La sentenza quindi chiarisce da una parte che il giudice “non può annullare ciò che non gli è stato chiesto di annullare”, ma può e deve disapplicare ciò che contrasta con la legge, dall’altra che il Comune non può “regolare” ciò che è già disciplinato compiutamente dalla legge.

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