Il nuovo equilibrio imposto dall’art. 36 d.lgs. 36/2023 e dal bando tipo ANAC 2025
Di Luca Leccisotti
L’accesso alle offerte negli appalti pubblici rappresenta tradizionalmente una delle aree più problematiche della fase esecutiva della procedura, attraversata da tensioni ricorrenti fra esigenze di trasparenza, tutela della concorrenza, riservatezza industriale e garanzie contenziose. L’evoluzione normativa culminata con il d.lgs. 36/2023 – e in particolare con il suo art. 36 – ha segnato una vera inversione di prospettiva, spostando il baricentro dell’ostensione dai principi generali del diritto di accesso amministrativo verso un modello di disponibilità immediata delle offerte, digitalmente e con reciprocità per i primi cinque operatori in graduatoria. Il nuovo bando tipo ANAC 2025 fornisce un chiarimento operativo decisivo: le scelte in materia di oscuramento non sono neutre, né automatiche, né delegabili; spettano direttamente al Responsabile Unico del Progetto, chiamato a un bilanciamento complesso, “a rischio” di ricorso. Il RUP assume così un ruolo di giudice amministrativo in prima linea: istruisce, valuta, decide e soprattutto motiva, muovendosi su un crinale dove un errore può produrre effetti immediati sull’esito della gara. Questo contributo affronta sistematicamente la disciplina dell’art. 36, il rapporto con l’art. 35 e con il sistema generale dell’accesso ex l. 241/1990, le ricadute operative sulle piattaforme di approvvigionamento digitale (PAD), la tutela del segreto tecnico-commerciale e l’impatto della giurisprudenza recente, alla luce del bando tipo ANAC quale interpretazione autentica della nuova stagione digitale del procurement pubblico.
Il cambio di paradigma introdotto dall’art. 36 del codice dei contratti pubblici del 2023 va compreso ricordando il regime precedente: il d.lgs. 50/2016 ancorava l’accesso alle gare soprattutto all’art. 53, prevedendo un modello essenzialmente “richiesto”, in cui la documentazione non era immediatamente ostesa, ma resa disponibile su istanza dell’interessato secondo le regole del diritto di accesso documentale. La disponibilità delle offerte era subordinata a un apprezzamento successivo, con limiti spesso ampi per proteggere segreti tecnici e commerciali. Il nuovo codice rovescia tutto: l’accesso alle offerte dei primi cinque operatori, oggi, è un diritto che scaturisce automaticamente dalla partecipazione e dalla collocazione in graduatoria; non richiede istanza, non richiede motivazione, non è addossato a chi chiede. È un “diritto di reciprocità”, concorrenziale e immediato, che risponde alla logica di accountability algoritmica e comparativa della competizione digitale.
La norma è chiara: alla comunicazione dell’aggiudicazione, i primi cinque operatori non esclusi definitivamente devono ottenere le offerte e i giustificativi valutati ai fini dell’aggiudicazione tramite piattaforma digitale. Il bando tipo ANAC 2025 ribadisce che questa disponibilità è “assicurata mediante la PAD”, confermando che la trasparenza è nativa digitale e che il RUP deve indicarne le modalità nel disciplinare. È la piattaforma, quindi, il luogo giuridico dell’accesso.
La scelta del legislatore però non è deregolativa. La disponibilità non è totale né incondizionata: incontra limiti espressamente previsti per tutelare segreti tecnici e commerciali, che l’art. 36 rimodula attraverso un sub-procedimento obbligatorio che attribuisce piena centralità al RUP. Qui emerge la vera novità interpretativa fornita da ANAC: il responsabile del progetto è l’autorità che “decide” sulle richieste di oscuramento. Non è un adempimento, non è una presa d’atto della dichiarazione dell’operatore; è una decisione autoritativa, basata su istruttoria e motivazione, suscettibile di impugnazione. E soprattutto: non è delegabile. L’allegato I.2 del codice, art. 2 comma 1, lo dice con nettezza: non sono delegabili le “attività di verifica e valutazione”. La richiesta di oscuramento è un banco di prova della professionalità e autonomia del RUP.
La giurisprudenza da anni riconosce che la tutela del segreto tecnico e commerciale non è mai automatica. L’Adunanza Plenaria n. 10/2020 ha chiarito che chi sostiene la riservatezza deve provare in modo specifico l’esistenza di un sapere tutelabile, non facilmente replicabile e di rilevanza economica. I TAR hanno più volte affermato che la mera apposizione della dicitura “riservato” o il rinvio generico al know-how non bastano. Si pensi, fra le tante, a TAR Lazio – Roma, sez. III, n. 7697/2021, che precisa come l’oscuramento rappresenti un limite eccezionale e motivato, pena la violazione della trasparenza competitiva. La disciplina del nuovo codice recepisce questa impostazione: non è l’affermazione dell’offerente a fondare il segreto, ma la valutazione del RUP sull’effettiva delicatezza dell’informazione e sulla sua irrilevanza ai fini del controllo concorrenziale. È trasparente solo ciò che serve a verificare la regolarità della gara, non ciò che tradisce l’intimo vantaggio competitivo dell’impresa. Però anche l’opposto è vero: è riservato solo ciò che è davvero know-how.
La conseguenza operativa è rilevante: il RUP deve decidere formalmente, comunicare la decisione e permettere l’impugnazione entro 10 giorni. Finché non scade il termine, anche se ha valutato infondata la richiesta di oscuramento, deve rilasciare i documenti nella versione “oscurata”. È un obbligo paradossale a tutela della difesa giurisdizionale. Il codice mette così in conto che la decisione del RUP possa essere contestata, e nel frattempo congela la situazione per garantire che l’accesso non renda inutile un eventuale ricorso. Se il responsabile decide di negare l’oscuramento, ma il concorrente ritiene che sia leso un suo segreto industriale, potrà ottenere in sede cautelare un provvedimento che scongiuri o limiti l’ostensione: è un rischio che il RUP e la stazione appaltante devono poter gestire con motivazioni lampanti.
Il nuovo assetto produce anche un’immediata stratificazione dei regimi di accesso: per i primi cinque operatori opera l’art. 36, con disponibilità “ex lege” attraverso la PAD; per gli altri si applica la legge 241/1990, con necessaria motivazione e interesse concreto. È un doppio binario: trasparenza competitiva “automatica” per chi ancora può aspirare alla vittoria, trasparenza amministrativa “richiesta” per chi è fuori partita. La stessa ANAC esplicita che chi è oltre il quinto posto deve attivare un accesso documentale nelle forme ordinarie: un ritorno alla tradizione, che però coesiste con la nuova immediatezza digitale.
Questa dualità può generare disallineamenti operativi: un operatore sesto classificato potrebbe avere interesse, ad esempio, a verificare l’anomalia dell’offerta del quinto; ma la motivazione non sarebbe intrinseca alla posizione in graduatoria e il RUP potrebbe respingere l’istanza ritenendo non integrati i presupposti dell’interesse difensivo. La giurisprudenza è sensibile al ruolo dell’accesso come strumento di tutela giurisdizionale e tende a interpretare in modo espansivo l’interesse a ricorrere. Non è escluso che si apra un fronte interpretativo per estendere l’applicazione dell’art. 36 anche al sesto o settimo concorrente, laddove vi siano contestazioni pendenti. Il sistema, per ora, resta asimmetrico.
Un punto critico del nuovo impianto è la gestione dei tempi. L’art. 36 assegna 10 giorni per impugnare la decisione del RUP sull’oscuramento. Ma nell’ecosistema digitale delle gare telematiche, 10 giorni sono pochissimi per analisi documentale, valutazione tecnica, parere legale e redazione del ricorso. I primi cinque concorrenti potrebbero trovarsi a dover impugnare con informazioni incomplete, rischiando un contenzioso “al buio”. Anche per questo la motivazione del RUP diventa cruciale: se è chiara e ben costruita, limita i ricorsi pretestuosi; se è vaga, apre la strada a battaglie cautelari obbligate.
Non meno significativa è la previsione del comma 6 dell’art. 36, che introduce una sanzione pecuniaria per le richieste di oscuramento abusive, segnalabili dal RUP ad ANAC. L’effetto è duplice: deterrenza verso l’uso strumentale della riservatezza e rafforzamento del ruolo del RUP quale garante di un leale confronto competitivo. La fascia sanzionatoria – da 500 a 5.000 euro, con riduzione della metà in caso di pagamento entro trenta giorni – è moderata ma simbolicamente netta: chi prova a coprire tutto con l’etichetta “segreto” rischia un prezzo. È un segnale culturale: la riservatezza non è più una carta da giocare per impedire controlli, ma un istituto serio da usare con responsabilità.
Il bilanciamento degli interessi è la vera arte richiesta al RUP. Da un lato, deve evitare di compromettere la trasparenza: i concorrenti devono poter capire le ragioni della loro stessa sconfitta. Dall’altro, deve proteggere l’innovazione industriale: il mercato è concorrenza anche sulla segretezza della tecnica. La giurisprudenza più recente tende a favorire l’accesso quando l’oggetto della richiesta riguarda elementi decisivi per la valutazione dell’offerta: gli algoritmi di calcolo del prezzo, gli elementi migliorativi, le soluzioni tecniche che determinano il punteggio devono essere accessibili, salvo casi eccezionali. Ma quando l’informazione attiene a componenti standardizzate, facilmente replicabili o prive di vero valore competitivo, l’ostensione diventa obbligo.
Il nuovo codice affida a tale bilanciamento una cornice più netta, anche grazie alla digitalizzazione integrale. L’art. 35 conferma che l’accesso avviene tramite le piattaforme di e-procurement, integrando automaticamente gli atti nel flusso procedimentale informatico. La trasparenza non si tramuta più in un carico di lavoro fisico per gli uffici gare: è un flusso che scatta per effetto della piattaforma, che il RUP deve solo governare con regole chiare nel disciplinare.
Il bando tipo ANAC riproduce fedelmente questa impostazione: la sezione dedicata all’accesso oggi è molto più ricca rispetto al modello 2023. Ribadisce la disponibilità delle offerte tramite PAD e disciplina chiaramente l’obbligo del RUP di comunicare le decisioni sull’oscuramento. Si tratta di un chiarimento cruciale: la stazione appaltante non può più nascondersi dietro automatismi; è il RUP il fulcro della trasparenza.
Sul piano pratico, la dottrina ha sottolineato due criticità da gestire: la necessità di strutturare un sub-procedimento snello, ma rigoroso, e la delicatezza della motivazione. Non si può decidere sull’oscuramento senza un’istruttoria tecnica: occorre chiedere all’offerente di spiegare perché un certo dato è segreto e perché non è indispensabile alla verifica concorrenziale. Il RUP può avvalersi del responsabile di fase o del supporto giuridico e tecnico, ma la responsabilità finale della decisione è sua. La motivazione deve dimostrare che ha compreso la natura del documento e che ha valutato gli effetti dell’ostensione: non basta dire “non è segreto”. Deve spiegare perché.
Il rischio di contenzioso è evidente: ogni decisione di rigetto del segreto equivale a una potenziale violazione della proprietà industriale; ogni accoglimento eccessivo equivale a una potenziale lesione della trasparenza e quindi del diritto di difesa del concorrente. La posizione del RUP è esposta: deve essere pronto a difendere la propria decisione davanti al giudice amministrativo, in un rito appalti dove i tempi sono stretti e le sospensive si giocano su dettagli.
L’articolazione tra ostensione e tutela cautelare è un nodo non risolto. La regola dell’oscuramento “provvisorio” fino alla scadenza del termine per impugnare è coerente con il sistema di tutela: evita l’effetto condizionante della divulgazione anticipata. Ma crea una possibile finestra durante la quale l’accesso è solo parziale. Il concorrente che sospetta anomalie o attribuzioni scorrette dei punteggi potrebbe trovarsi disarmato: deve scegliere se ricorrere subito, con scarse informazioni, oppure attendere e rischiare la decadenza. È un equilibrio difficile. Una prassi virtuosa potrebbe essere quella di favorire un confronto collaborativo: spiegare subito i criteri di valutazione e gli elementi che hanno determinato l’attribuzione dei punteggi può ridurre le richieste di accesso difensive e alleggerire il contenzioso.
Se si guarda all’intero quadro, la trasformazione è evidente: la PA non è più l’arbitro del flusso informativo, ma un attore in un sistema di trasparenza integrata e automatica. Il RUP ha un potere decisionale nuovo, ma anche un obbligo di accountability molto più stringente. L’art. 36 non è solo una norma tecnica: è una norma di responsabilizzazione.
Resta però aperta la questione dell’armonizzazione con il FOIA. L’accesso civico generalizzato può riguardare anche gli appalti: la stessa ANAC ha riconosciuto che la trasparenza competitiva non esaurisce la trasparenza pubblica. Tuttavia, la tutela del segreto tecnico-commerciale prevale sul FOIA: non si può usare la trasparenza generalizzata per ottenere dati industriali sensibili. Una linea interpretativa ragionevole è che il FOIA possa intervenire dopo la fase di gara e dopo la stipula, quando l’interesse concorrenziale è attenuato, ma sempre con cautela.
Le piattaforme digitali saranno decisive per standardizzare il processo: si può immaginare un sistema automatizzato che gestisce le versioni integrate dei documenti (oscurate e complete), le notifiche dei termini per impugnare, il log degli accessi, la segmentazione dei diritti tra soggetti entro e oltre i primi cinque posti. L’ANAC potrebbe fornire linee guida operative per uniformare la prassi, evitando soluzioni locali troppo creative.
In una prospettiva evolutiva, il nuovo modello di accesso potrebbe diventare una leva per migliorare la qualità delle offerte e dei punteggi. La consapevolezza che le soluzioni tecniche saranno viste dai concorrenti può ridurre le proposte eccessivamente ottimistiche o “creative”; al contrario, potrebbe stimolare un’innovazione protetta e ben motivata. Perché il segreto tecnico sia credibile, l’offerente deve saperlo descrivere: dire cosa è proteto e perché lo è. Ciò comporta una crescita culturale del mercato.
La sezione finale di questo contributo deve necessariamente proporre spunti critici. Il primo riguarda la figura del RUP: gli si chiede molto, forse troppo. Deve avere competenze legali, tecniche e concorrenziali per prendere una decisione su un tema complesso come la tutela della proprietà industriale. Servirebbero investimenti formativi mirati e protocolli a supporto. Il secondo riguarda il rischio di un eccesso di conformismo competitivo: la trasparenza spinta può appiattire le soluzioni innovative, specie dove i margini competitivi sono sottili e facilmente replicabili. Il terzo riguarda il contenzioso: il termine di 10 giorni è troppo breve per una tutela giurisdizionale effettiva. Si potrebbe pensare a un meccanismo più flessibile, magari correlato alla complessità tecnica dell’offerta.
Il nuovo bando tipo ANAC ha il grande merito di chiarire i compiti del RUP, evitando incertezze che avrebbero potuto paralizzare la prassi. Ma molte questioni sono ancora affidate a soluzioni interpretative o giurisprudenziali. Un tema centrale sarà la cooperazione tra operatori economici e stazioni appaltanti: senza una cultura condivisa della trasparenza concorrenziale, il sistema rischia di degenerare in un infinito gioco al “nascondino”. La sanzione prevista dal comma 6 è un buon deterrente, ma andrà applicata con prudenza per evitare che un eccesso di rigore soffochi la libertà imprenditoriale.
In conclusione, l’art. 36 del d.lgs. 36/2023 inaugura una nuova fase della trasparenza negli appalti pubblici, in cui l’accesso è un diritto immediato e la riservatezza un’eccezione fondata su una valutazione motivata. Il RUP è chiamato a un ruolo di garanzia complesso ma fondamentale: è il custode della concorrenza e della fiducia nel sistema. La trasformazione sarà compiuta solo quando tutte le amministrazioni saranno in grado di gestire con pari competenza e lucidità un tema che non è soltanto tecnico, ma profondamente politico: chi deve sapere cosa, quando e perché. La strada è tracciata, e non si torna indietro.










