Di Michele Mavino
Negli ultimi giorni, ha avuto una certa eco mediatica un pronunciamento che, pur riconoscendo l’ormai costante orientamento della Cassazione, ha riconosciuto la validità degli accertamenti effettuati per mezzo di autovelox approvati e non omologati.
La sentenza n. 1816/2025 del Tribunale di Bologna (Sez. II civile, giudice Alessandra Cardarelli, R.G. 13040/2024, firmata il 10 luglio e pubblicata il 9 agosto 2025) offre una lettura chiara e pragmatica del nodo “omologazione vs approvazione” degli autovelox. Il caso nasce dall’impugnazione di un verbale per eccesso di velocità rilevato con un dispositivo non omologato ma approvato dal Ministero, con esito finale di rigetto dell’appello e conferma dell’accertamento.
Il cuore della motivazione è semplice: quando l’accertamento avviene in modalità automatica senza contestazione immediata, il Codice della strada consente l’uso di apparecchi “omologati ovvero approvati”. Il Tribunale armonizza le norme (artt. 201, co. 1-ter, 45, co. 6, e 142 C.d.S., oltre all’art. 4 del D.L. 121/2002) e conclude che, in questo perimetro applicativo, l’approvazione ministeriale non è un ripiego ma un titolo normativamente sufficiente, purché l’apparecchio sia correttamente verificato e tarato. È una scelta interpretativa coerente con il dato letterale e con la logica del sistema, che evita di svuotare di significato il termine “approvazione” introdotto dal legislatore proprio per le rilevazioni automatizzate.
Il giudice non ignora che, di recente, la Cassazione ha valorizzato la distinzione tra approvazione e omologazione (si pensi alla nota ord. n. 10505/2024), ma ritiene che il combinato disposto del Codice e del D.L. 121/2002 imponga, in questo specifico ambito, di riconoscere piena dignità all’approvazione. In altre parole: l’omologazione rafforza la “prova privilegiata” di cui all’art. 142, co. 6, ma la sua assenza non rende automaticamente inutilizzabile l’accertamento se l’ente dimostra, con documenti e rilievi, l’affidabilità concreta dello strumento.
Da qui discende un secondo passaggio importante, quasi “di riserva”: anche seguendo l’indirizzo più severo, il giudice può comunque formare il proprio convincimento sulla base del compendio istruttorio disponibile. Nel caso concreto questo compendio c’era: l’apparecchio risultava approvato con decreti MIT (2003 e 2005), regolarmente tarato e verificato (dicembre 2021), la violazione era del 2 novembre 2022, la fotografia rendeva leggibile la targa, e la velocità rilevata (67 km/h) era stata correttamente convertita a 62 km/h prima dell’applicazione del limite (50 km/h). Mancavano, soprattutto, contestazioni specifiche e puntuali sul malfunzionamento. In questo contesto, il rigetto dell’appello diventa la naturale conseguenza.
Le ricadute operative per chi lavora negli Uffici verbali e nei Comandi sono concrete. Primo: in presenza di accertamenti automatici ex art. 201, co. 1-ter, l’approvazione ministeriale è, di per sé, sufficiente, purché accompagnata da una cura scrupolosa della manutenzione metrologica (tarature, verifiche periodiche, attestazioni di funzionalità). Secondo: la documentazione va conservata e allegata al fascicolo difensivo — estremi del decreto di approvazione, certificati di verifica, report di rilievo con indicazione della conversione della velocità e foto nitida della targa. Terzo: in giudizio, se la controparte non articola contestazioni tecniche circostanziate, opera l’ordinario meccanismo probatorio del processo civile: non c’è “prova legale” contro l’ente, ma un materiale istruttorio che il giudice può ritenere sufficiente a fondare la decisione.
Resta, naturalmente, il tema del contrasto con la giurisprudenza di legittimità più recente. Questo suggerisce un approccio prudente nelle scelte organizzative, tenendo conto degli orientamenti dei tribunali anche locali.