Concessioni sottosoglia e divieto di affidamento diretto

Ripristino post‑incidente e parcometri: obbligo di comparazione e negoziata concorrenziale.

Di Luca Leccisotti

1. Quadro d’insieme: il diritto vivente sulle concessioni dopo il correttivo

Nel lessico del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023), la concessione non è un semplice “appalto con il pedaggio”: è un distinto tipo contrattuale che trasferisce in capo al concessionario un rischio operativo significativo sull’utilizzo o sulla domanda del servizio, pretendendo, quale corollario, una allocazione di rischi e un’equilibratura economico‑finanziaria desumibile dal Pef e dalla struttura delle entrate. Questa fisionomia – radicata nella direttiva 2014/23/UE – riverbera le sue conseguenze anche nella fase di scelta del concessionario, che non può essere confusa con la disciplina, più “meccanica”, degli affidamenti di servizi o forniture.

Nel 2025 l’Ufficio del supporto giuridico del MIT ha pubblicato tre pareri che toccano nervi scoperti della prassi: l’applicabilità degli incentivi per funzioni tecniche alle concessioni; il divieto di ricorrere all’affidamento diretto per le concessioni, anche nel segmento delle micro‑soglie introdotto dal correttivo; il perimetro della qualificazione rafforzata per gli enti concedenti. Le risposte sono nette e, soprattutto, coerenti con l’architettura codicistica: l’incentivo di cui all’art. 45 è oggi espresso anche per gli enti concedenti; l’affidamento diretto non è uno strumento spendibile per le concessioni, neppure al di sotto di 140.000 euro (servizi) o 500.000 euro (lavori); la qualificazione rafforzata degli enti concedenti è richiesta solo sopra quelle soglie, senza derogare, però, alla necessità di governare le procedure sottosoglia con moduli concorrenziali (in primis, negoziata).

La tesi che qui si sostiene è duplice: da un lato, la non fungibilità tra disciplina degli appalti e disciplina delle concessioni impone di evitare trasposizioni indebite (come l’idea che la micro‑soglia legittimi l’affidamento diretto); dall’altro, il Codice 2023, letto con la lente europea, chiede agli enti concedenti di “fare gara” anche quando le proporzioni sono piccole, modulando la negoziata alle esigenze di mercato ma senza scivolare nella discrezionalità pura.

2. Concessione: natura, rischio operativo e riflessi sul procedimento

La concessione è definita dalla traslazione del rischio operativo in misura significativa verso il privato. Tale rischio non è un semplice rischio di costi, ma attiene all’incertezza dei ricavi (domanda/utenti) o all’uso dell’opera/servizio. Ne discendono due conseguenze procedimentali. La prima: la selezione del concessionario richiede un confronto concorrenziale che consenta di valutare non solo prezzi, ma modelli gestionali, strutture tariffarie, contenuti del servizio e meccanismi di riequilibrio del Pef. La seconda: la libertà conformativa della PA è ampia, ma non arbitraria; deve inscriversi in un perimetro di trasparenza, parità e motivazione che renda il risultato sindacabile in termini di ragionevolezza e coerenza con l’interesse pubblico.

In questa chiave, il modulo concorrenziale è fisiologico: più si sale di complessità, più la selezione deve essere aperta; quanto si scende nelle soglie, si può modulare la competizione con strumenti snelli, ma sempre riconoscibili come gare in senso sostanziale. L’affidamento diretto – che per gli appalti sottosoglia ha una sua ecologia – non è compatibile con la logica della concessione, perché sottrae al confronto tutti gli elementi che, invece, definiscono l’equilibrio economico‑finanziario del rapporto.

3. Micro‑soglie del correttivo e falso mito dell’affidamento diretto

Il d.lgs. 209/2024 ha introdotto una micro‑fascia di semplificazione per le concessioni: sotto i 140.000 euro per i servizi e sotto i 500.000 euro per i lavori, l’ente concedente non è tenuto al livello di qualificazione rafforzato. Il messaggio, però, è stato talora frainteso nella prassi come una licenza ad affidare direttamente. La lettura corretta è opposta. La semplificazione incide sui requisiti soggettivi dell’ente, non sull’obbligo di utilizzare una procedura concorrenziale. Per le concessioni sottosoglia, il Codice rinvia alla procedura negoziata come modulo ordinario, da costruire con inviti selettivi, indagini di mercato coerenti e una lex procedimentale che permetta di comparare progetti e Pef.

La negoziata non è un male minore, ma il giusto mezzo tra apertura e tempestività. Nel segmento delle micro‑soglie, infatti, l’ente può limitare gli inviti ad un numero congruo, concentrare la valutazione sui fattori essenziali (domanda, tariffe, livelli di servizio, rischio manutentivo), pretendere garanzie proporzionate e far vivere la competizione in tempi ragionevoli. Ciò che non è consentito è la scelta discrezionale del contraente sulla base della sola convenienza percepita: manca, in quel caso, la comparazione che il sistema pretende anche quando le cifre sono piccole.

4. Incentivi per funzioni tecniche: l’esplicita estensione agli enti concedenti

Nel passaggio dal d.lgs. 50/2016 al d.lgs. 36/2023, l’art. 45 ha abbandonato il riferimento alle sole stazioni appaltanti, includendo espressamente gli enti concedenti. La scelta è coerente con la natura tecnica del ciclo delle concessioni: studio di fattibilità, predisposizione della lex procedimentale, valutazione dei Pef, monitoraggio degli equilibri in esecuzione sono attività ad alto contenuto tecnico e meritocratico. L’accesso agli incentivi non è, dunque, un “premio a pioggia”, ma un investimento sulla qualità interna, da riconoscere alle figure che contribuiscono causalmente alla buona riuscita della selezione e della gestione del rapporto.

Resta fermo, però, il perimetro: l’incentivo non retribuisce funzioni contabili o mere attività di liquidazione; è selettivo e va ancorato a milestone tecniche (predisposizione del disciplinare, valutazione di sostenibilità economica e sociale, esame dei rischi trasferiti, controllo su livelli di servizio e Kpi in esecuzione).

5. Qualificazione degli enti concedenti: quando è rafforzata e quando no

Il correttivo ha portato chiarezza sul punto: l’obbligo di qualificazione rafforzata per gli enti concedenti opera solo al di sopra di 140.000 euro per le concessioni di servizi e di 500.000 euro per le concessioni di lavori. Sotto tali soglie, l’ente può operare senza quel livello rafforzato, ma non senza regole: l’adozione di procedure concorrenziali proporzionate resta doverosa.

Sul piano sistemico, la scelta riflette un bilanciamento: sotto soglia si vuole evitare che l’asticella organizzativa blocchi interventi minuti; sopra soglia si pretende che l’ente dimostri, con la qualificazione, di possedere competenze adeguate alla complessità tipica delle concessioni. La semplificazione non è un condono: è un invito a misurare gli oneri organizzativi e a modulare la negoziata su scala.

6. Il perché del divieto di affidamento diretto nelle concessioni

La ragione di fondo del divieto non è dogmatica, bensì funzionale: l’equilibrio economico‑finanziario dell’operazione (capex, opex, struttura dei ricavi, periodo di ammortamento, rischio di domanda) non può essere “contrattato” uno a uno senza che vi sia un confronto tra modelli gestionali. La concessione è tipicamente un gioco lungo, con asimmetria informativa a favore del privato; la cura del Pef e dei meccanismi di riequilibrio si alimenta di concorrenza: alternative credibili costringono gli operatori a scoprire le proprie ipotesi di domanda e a internalizzare i rischi, pena la perdita dell’affidamento.

L’affidamento diretto, in questo contesto, sottrae alla PA l’unico vero contrappeso: la competizione. Anche quando i numeri sono piccoli, questa funzione è indispensabile, perché il rischio di lock‑in e di prezzi non congrui è alto. La negoziata ristabilisce l’asimmetria, allineando l’operatore agli obiettivi pubblici con un minimo di pressione competitiva.

7. Concessioni “minute”: come strutturare correttamente la negoziata

Le concessioni minute – si pensi a vending, micro‑concessioni di spazi per servizi ancillari, piccoli chioschi – non giustificano procedure elefantiache, ma nemmeno l’assenza di metodo. La negoziata può essere disegnata con una lex snella, in cui l’ente: definisce minimi tecnici e prestazionali (ad esempio, standard igienico‑sanitari, orari di servizio, accessibilità, pagamenti elettronici); invita un numero congruo di operatori reperiti con indagine di mercato o elenchi; prevede un criterio prezzo‑qualità semplice, in cui il canone o il revenue sharing convive con livelli di servizio essenziali; calibra la durata su orizzonti ragionevoli; chiede un Pef proporzionato, magari per macro‑voci, ma sufficiente a consentire una comparazione.

La verbalizzazione delle valutazioni, la motivazione finale e la pubblicità essenziale sono l’ultimo miglio per rendere la negoziata difendibile e coerente con la par condicio.

8. Errori ricorrenti e come evitarli

L’esperienza sul campo restituisce pattern di errore ripetuti: avvisi generici che non filtrano correttamente i requisiti; inviti ristretti senza una traccia di indagine di mercato; criteri di scelta apodittici (“la proposta più conveniente”); durate incongrue rispetto all’ammortamento degli investimenti; Pef non richiesti o richiesta di soli canoni, come se si trattasse di una locazione.

La prevenzione è metodologica: portare nella micro‑concessione la stessa, ridotta, grammatica della grande concessione. Fabbisogno definito, criteri espliciti, Pef anche semplificato, valutazioni verbalizzate, pubblicità degli esiti. Dove i tempi stringono, si può utilizzare una pre‑informazione al mercato o una call di manifestazioni di interesse rapida, seguita da negoziata stretta; l’importante è documentare la comparazione.

9. Il ruolo del RUP/Responsabile del procedimento e la catena dei controlli

Nelle concessioni il RUP ha un baricentro più strategico rispetto agli appalti di servizi: costruisce la domanda pubblica, definisce la matrice dei rischi, coordina la lettura del Pef, guida la valutazione comparativa. La sua motivazione è il luogo in cui si misura la qualità dell’istruttoria. Gli organi interni (controllo di gestione, OIV) e i revisori non dovrebbero limitarsi alla spunta formale, ma presidiare congruità e trasparenza della selezione.

Nei micro‑segmenti, l’apporto del RUP si vede nella capacità di standardizzare modelli e schemi, riducendo l’alea discrezionale. Il ricorso a linee guida interne – su Pef semplificato, revenue sharing, livelli minimi di servizio – riduce il rischio di oscillazioni ingiustificate e rende la negoziata prevedibile per gli operatori.

10. Concessione vs locazione/servizio: il rischio dei travestimenti

Un nodo delicato è la qualificazione del rapporto. Talvolta, ciò che viene presentato come concessione è, in realtà, una locazione di spazi con servizio minimo accessorio; altre volte, un servizio con canone fisso viene “travestito” da concessione per evitare regole più stringenti sull’affidamento. Il discrimine resta il rischio operativo: dove il rischio di domanda è reale e significativo, si è nel regno delle concessioni; dove il rischio è assente o marginale e l’ente remunera il privato a costi predeterminati, si è nel contratto di servizi o nella locazione.

Confondere i piani è pericoloso: si finisce per applicare alla selezione categorie improprie (ad esempio, il solo canone come criterio in una vera concessione), o, viceversa, per legittimare affidamenti diretti dove sarebbe necessaria una gara, seppure snella. Il corretto inquadramento è, quindi, essenziale per non vizi di legittimità e per evitare responsabilità.

11. Una vicenda‑tipo ricostruita

Si immagini un Comune che intenda affidare, per tre anni, la gestione di distributori automatici in edifici pubblici, con canone a base d’asta parametrato al fatturato annuo previsto e livelli qualitativi minimi. L’ente vorrebbe “affidare direttamente” richiamando la micro‑soglia. La scelta è sbagliata: la concessione comporta un rischio di domanda rilevante e non è consentito l’affidamento diretto. La soluzione corretta è una negoziata: indagine di mercato, invito ad almeno cinque operatori, criterio prezzo‑qualità con ponderazione tra canone e livelli di servizio (slot orari, rifornimenti, sostenibilità imballaggi, metodi di pagamento), Pef essenziale a supporto e durata coerente con l’ammortamento. La motivazione finale esplicita perché l’offerta prescelta massimizza il valore pubblico e come il rischio sia allocato correttamente.

12. Effetti sul contenzioso e sul mercato

Il rispetto della grammatica concorrenziale anche nel micro ha un effetto anticorpale: riduce il contenzioso perché rende prevedibile l’esito; migliora la qualità delle offerte perché costringe gli operatori a confrontare modelli e a presentare Pef non velleitari; limita il rischio di lock‑in e di rinnovi di fatto travestiti da urgenze.

Dove, invece, si perseveri nell’uso di affidamenti diretti o di pseudo comparazioni, il contenzioso è fisiologico e gli esiti spesso abrogativi, con effetti paralizzanti sulla continuità del servizio e maggiori costi di transizione.

13. Collegamenti con altri snodi del Codice: pubblicità, interoperabilità, PEF

La pubblicità minima degli atti della negoziata e la tracciabilità delle fasi sono requisiti di sistema, anche in ottica ANAC e Bdncp: non serve una liturgia, ma una documentazione essenziale e coerente sulle pubblicazioni in piattaforma. Sul fronte digitale, l’uso coerente del Fvoe per le verifiche dei requisiti del primo graduato resta un fattore di tempestività.

Per il Pef, anche quando semplificato, è decisivo esplicitare ipotesi di domanda, sensibilità sui ricavi, ammortamenti e costi di gestione, nonché eventuali meccanismi di riequilibrio in caso di shock esterni. È l’unico modo per rendere verificabile l’allocazione del rischio e per scegliere realmente tra modelli alternativi.

13. Applicazioni settoriali: ripristino post‑incidente stradale

Nel segmento del ripristino post‑incidente stradale (messa in sicurezza del sito, rimozione di detriti/versamenti, ripristino delle condizioni di transitabilità, talora bonifica ambientale leggera) la prassi di molti Comuni è stata quella dell’affidamento diretto ad un operatore “storico”, spesso sulla base dell’argomento della pronta reperibilità. È una deriva da correggere. La struttura economica del rapporto – remunerazione che deriva in via principale da corrispettivi a carico delle compagnie assicurative o, in subordine, da entrate collegate all’intervento – evidenzia la presenza di un rischio operativo sulla domanda e sull’utilizzo del servizio: siamo, dunque, nell’area propria delle concessioni.

Il corretto inquadramento porta con sé due conseguenze: (i) l’affidamento diretto non è praticabile; (ii) occorre una procedura negoziata che, pur snella, consenta una comparazione fra modelli gestionali e PEF. La grammatica minima comprende: descrizione dell’oggetto e delle prestazioni (intervento h24/365, tempi di arrivo, dotazioni minime di mezzi/personale, tracciabilità degli interventi, gestione rifiuti), definizione delle tariffe massime/applicabili e dei meccanismi di fatturazione verso terzi, richiesta di un PEF coerente (ipotesi di interventi annui, struttura dei costi, margini, rischio di insoluti), criteri di valutazione che premino tempi, qualità e sostenibilità del servizio oltre all’equilibrio economico. La durata deve essere commisurata all’ammortamento di mezzi e attrezzature, evitando periodi eccessivi che irrigidiscano la concorrenza.

Le motivazioni basate su “urgenze” non reggono se l’esigenza è strutturale e prevedibile: la reperibilità si garantisce contrattualmente (penali per ritardi, stand‑by, turnazioni), non con scorciatoie affidatarie. Laddove si tratti di servizio aggiuntivo rispetto a rimozioni coattive o soccorso stradale in senso stretto, la sostanza non cambia: se il rischio di ricavo è in capo all’operatore, lo schema è concessorio e pretende concorrenza.

14. Applicazioni settoriali: gestione dei parcometri e sosta a pagamento

Anche la gestione dei parcometri e, più in generale, della sosta tariffata ha conosciuto, in non pochi contesti, affidamenti diretti o rinnovi “di fatto” con il fornitore storico degli apparati. È una prassi non allineata alla logica del Codice. L’assetto contrattuale, infatti, si colloca spesso nell’orbita delle concessioni di servizi: l’operatore assume il rischio dei ricavi da sosta (in tutto o in parte), investe in apparati e sistemi, viene remunerato tramite revenue sharing o canone parametrato agli incassi. In tali schemi la comparazione tra offerte è essenziale per massimizzare il valore pubblico: livelli di uptime dei parcometri, modalità di pagamento (fisico/digitale), interoperabilità con piattaforme comunali e sistemi open data, customer care, manutenzioni preventive/correttive, politiche antifrode e sicurezza dei dati, piano di rinnovo tecnologico.

La procedura corretta è una negoziata che chiami più operatori a presentare progetti tecnico‑gestionali con PEF trasparenti (ipotesi di domanda, capex/opex, riparto dei rischi, curva di obsolescenza tecnologica). È opportuno distinguere, in lex procedimentale, tra mere forniture/servizi di manutenzione dei dispositivi (senza rischio di ricavo, in cui l’appalto di servizi può essere congruo) e gestioni in cui l’operatore partecipa al rischio della domanda: in questo secondo caso, lo schema è concessorio e invalida affidamenti diretti e rinnovi oltre soglia.

Anche qui le “urgenze” autogenerate (ritardi nel bandire la nuova gara, scadenze prevedibili) non legittimano scorciatoie: se occorre garantire continuità si può fare ricorso a soluzioni ponte realmente temporanee (proroghe tecniche pre‑scadenza e di durata minima, con gara in corso), oppure a convenzioni/accordi quadro, ma sempre nell’alveo della concorrenza.

15. Impatti su contenzioso e responsabilità nei due settori

Nel ripristino post‑incidente, l’affidamento diretto espone a ricorsi per violazione dei principi di apertura al mercato e a contestazioni sulla congruità delle tariffe applicate a terzi; nei casi più gravi, la mancanza di comparazione e la gestione “ad personam” possono riverberarsi in rilievi contabili (sovrapprezzo, perdita di chance) e, se accompagnate da condotte distorsive, in profili sanzionatori. Nella sosta, oltre ai medesimi rischi, si aggiungono le criticità legate alla trasparenza dei flussi, alla sicurezza dei dati di pagamento e alla qualità del servizio al cittadino: tutti elementi che solo la gara consente di mettere in tensione competitiva.

Sul piano organizzativo, è consigliabile adottare schemi tipo per la negoziata in entrambi i comparti, con matrici di valutazione tarate su PEF, livelli di servizio e innovazione tecnologica, in modo da ridurre la discrezionalità e rendere l’esito prevedibile e difendibile.

16. Considerazioni finali: concorrenza come regola, negoziata come metodo

La lezione che viene dal 2025 è chiara: nelle concessioni la concorrenza non è un fastidio da tollerare, ma la chiave per selezionare modelli gestionali sostenibili e allineati all’interesse pubblico. La micro‑soglia del correttivo alleggerisce i requisiti organizzativi degli enti concedenti, ma non apre varchi all’affidamento diretto: la negoziata resta l’architrave per gli affidamenti sottosoglia.

Per gli operatori pubblici, la sfida è culturale e organizzativa: programmare per tempo, distinguere correttamente concessione e servizio, strutturare negoziate snelle ma vere, presidiare il Pef anche quando è “piccolo” e rendere controllabile la motivazione. Solo così la spinta alla semplificazione non si trasforma in opacità e la flessibilità delle procedure non diventa un alibi per scelte discrezionali.

Nel solco del Codice 2023, questa è la rotta che concilia il principio del risultato con la legalità sostanziale: fare presto e bene, ma sempre in concorrenza.

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