Legalità sostanziale, principio di risultato e tutela dell’affidamento nella filiera dell’appalto.
Di Luca Leccisotti
L’oggetto di queste pagine è la tensione, tutt’altro che episodica, tra la necessità di assicurare pagamenti tempestivi lungo la filiera dell’appalto e l’obbligo, non recessivo, di verificare la regolarità contributiva dell’esecutore e della catena dei subaffidamenti. Il punto di frizione è noto: quando il Documento Unico di Regolarità Contributiva risulta “in verifica” o “sospeso” per controlli degli enti previdenziali, il ciclo dei pagamenti può subire rallentamenti che incidono sull’equilibrio economico degli operatori e, per riflesso, sul risultato dell’amministrazione. Il quadro normativo, tra diritto europeo contro i ritardi di pagamento, disciplina nazionale del DURC “on line” e regole del Codice dei contratti, impone un bilanciamento non più affidato al riflesso condizionato del formalismo, ma a una logica di legalità sostanziale coerente con il principio di risultato e con la fiducia che il d.lgs. 36/2023 pone a fondamento della nuova stagione degli appalti pubblici. In questo orizzonte, la domanda corretta non è se la stazione appaltante possa pagare “nonostante” un DURC in verifica, ma come debba comportarsi per non sacrificare il presidio di regolarità contributiva trasformandolo in una barriera automatica ai flussi finanziari fisiologici, specie quando la richiesta di verifica non sia imputabile all’operatore e i presupposti sostanziali di regolarità risultino ragionevolmente integrati.
Il dato di partenza è il sistema del DURC “on line” introdotto per ricondurre a un’unica istanza interoperabile l’accertamento della regolarità verso INPS, INAIL e, per l’edilizia, Casse Edili. L’impostazione ha una finalità trasparente: rendere oggettivo, tracciabile e tempestivo il controllo su un requisito in cui si saldano interessi pubblici eterogenei, dal corretto versamento di contributi e premi alla tutela della concorrenza leale. Il modello, però, funziona solo se i tempi di risposta del sistema si mantengono compatibili con le cadenze dei pagamenti previste dalla lex specialis e dal contratto. La fisiologia si incrina quando l’interrogazione restituisce esiti “in verifica” o “sospesi” per controlli a campione, per allineamenti bancadati o per discrasie marginali, generando uno iato tra fabbisogno finanziario dell’appaltatore e potere-dovere della stazione appaltante di accertare la regolarità prima di liquidare. Qui si misura la qualità del nuovo diritto amministrativo dei contratti: evitare che un presidio di legalità si tramuti in fonte di inefficienza, senza scivolare nel relativismo applicativo.
La trama dei principi rilevanti è a tre fili. Il primo è quello del risultato, che nel Codice assume la dignità di criterio oggettivo di interpretazione e applicazione delle regole di gara e di esecuzione, orientando l’amministrazione verso l’esito utile in termini di qualità della prestazione, tempestività e economicità. Il secondo è la fiducia, intesa non come indulgenza, ma come presunzione ragionevole di correttezza che consente di modulare gli adempimenti formali in funzione della sostanza, sempre che la stazione appaltante motivi, tracci e verifichi. Il terzo è l’equità contrattuale, che in sede esecutiva si traduce nella doverosità di non scaricare sull’appaltatore ritardi generati da circuiti informativi di cui l’operatore non è dominus, preservando il sinallagma e prevenendo gli effetti distorsivi sul subappalto e sulla filiera dei subfornitori.
La giurisprudenza amministrativa, chiamata più volte a misurarsi con blocchi di pagamento fondati su DURC non “negativo” ma “in verifica”, ha progressivamente abbandonato l’idea del diniego automatico, insistendo sulla necessità di una verifica in concreto. La stazione appaltante non può liquidare se il controllo restituisce irregolarità attuale e qualificata, ma non può neppure trincerarsi dietro uno status tecnico transitorio quando siano acquisibili, con diligenza media e in tempi brevi, elementi univoci che depongono per la regolarità sostanziale: comunicazioni degli enti, esiti parziali, documentazione probatoria già nelle banche dati, evidenze contabili e certificative che il sistema sta solo consolidando. In tali evenienze, la sospensione sine die del pagamento confligge con i principi di proporzionalità e di buona amministrazione e rischia di tradursi in un danno riflesso sull’interesse pubblico alla corretta esecuzione, perché comprimere la liquidità dell’esecutore si traduce spesso in rallentamenti, contenzioso e aumento dei costi indiretti.
Il diritto europeo sui ritardi di pagamento disegna i confini esterni del problema. Le direttive in materia, recepite nell’ordinamento interno, non tollerano che la Pubblica Amministrazione cronicizzi differimenti privi di una causa oggettiva e proporzionata, e sanzionano l’inerzia con interessi moratori e indennizzi che, a carico delle finanze pubbliche, riflettono una responsabilità organizzativa e non una fatalità. Ciò non significa che l’obbligo di pagare sia cieco rispetto alla legalità contributiva; significa però che, in assenza di un’irregolarità accertata, lo spazio di una gestione ragionevole dei tempi non si può comprimere in un riflesso automatico, tanto più quando la verifica sia innescata da controlli a campione o da fenomeni di allineamento massivo dei dati e non da un’istruttoria su specifici inadempimenti.
Il Codice dei contratti, nel disciplinare pagamenti, verifiche e controlli in esecuzione, non contiene — né potrebbe — una regola che consenta di pagare “contro” un DURC negativo; impone invece un metodo: acquisizione d’ufficio degli esiti, interoperabilità con le banche dati, tracciabilità delle verifiche e, soprattutto, motivazione sul caso concreto. Nel solco di questo metodo, la giurisprudenza contabile ha chiarito che l’arresto dei pagamenti in attesa di un esito “in verifica” è legittimo se proporzionato, temporalmente contenuto e accompagnato da atti diligenti della stazione appaltante volti ad accelerare l’istruttoria presso gli enti competenti. Ciò che viene censurato non è la cautela, ma la deresponsabilizzazione: la pretesa che un sistema informativo, in quanto tale, sostituisca il dovere di cura del responsabile del procedimento, che deve sollecitare, chiedere chiarimenti, acquisire riscontri alternativi leciti e, una volta ottenuta ragionevole certezza della regolarità, rimuovere il blocco senza attendere passivamente l’aggiornamento formale dello status.
Nel cuore di questa tensione si colloca il principio di legalità sostanziale, che impone di leggere la regola della regolarità contributiva come requisito effettivo della relazione contrattuale, non come formula apodittica. Se il DURC è in verifica perché un cassetto previdenziale segnala un disallineamento già regolarizzato dall’operatore ma non ancora consolidato, o se gli enti competenti confermano per iscritto l’assenza di esposizioni inadempiute, la permanenza del blocco di pagamento oltre il tempo strettamente necessario all’allineamento informatico tradisce la funzione del requisito, trasformandolo in ostacolo burocratico privo di giustificazione. La stessa cosa, però, non vale quando emergano segnali concreteggianti di insoluti o di piani di rateazione non onorati: in tal caso la sospensione del pagamento torna a essere presidio dovuto, perché l’interesse pubblico non è alla rapidità in sé, ma alla correttezza dell’intero ciclo.
La responsabilità amministrativa si alimenta di questa dialettica. Il danno erariale da interessi moratori o da penali applicate per ritardi nel pagamento non si imputa alla “cattiveria” del sistema, ma alla catena decisionale che non ha governato l’eccezione tecnica con strumenti di diligenza. Simmetricamente, l’accelerazione disinvolta del pagamento in presenza di spie attendibili di irregolarità integra una colpa grave, perché espone l’amministrazione al rischio di corrispondere somme in violazione di un vincolo legale a presidio di interessi anche extracontrattuali. È il terreno in cui si vede all’opera la grammatica del nuovo Codice: fiducia non come abbandono dei controlli, ma come capacità di farli valere con proporzione, con rapidità e con una motivazione che consenta di ricostruire ex post il perché di ogni decisione.
In questo quadro, la gestione del subappalto e della filiera dei subaffidamenti non è un capitolo separato, ma il banco di prova più esigente. La regolarità contributiva dell’esecutore “capofila” conta, ma non basta; la prassi virtuosa impone che i SAL e i pagamenti tengano conto, per quanto possibile, del rilascio del DURC anche sulle imprese della catena, nella consapevolezza che ritardi e sospensioni a monte si propagano a valle amplificando il rischio di un’esecuzione difficoltosa. L’orizzonte sistemico del Codice, che guarda a un appalto come ecosistema e non come rapporto binario, chiede al RUP di conoscere la filiera e di intervenire con strumenti contrattuali e di controllo che premino i comportamenti corretti e neutralizzino l’azzardo morale.
Il diritto vivente suggerisce che la soluzione praticabile non stia in una regola unica, ma in una sequenza ragionata: all’emersione di un DURC in verifica, la stazione appaltante sollecita formalmente gli enti, acquisisce riscontri documentali diretti e, se del caso, chiede all’operatore di comprovare l’avvenuto adempimento o la regolarizzazione in corso; se tali elementi convergono, procede alla liquidazione con atto motivato che dia conto della sufficienza della certezza sostanziale e, ove il disallineamento permanga per ragioni puramente tecniche, adotta cautele simmetriche sul ciclo dei pagamenti successivi. Diversamente, se emergono irregolarità sostanziali, mantiene il blocco, attiva i rimedi contrattuali e informa gli organi competenti. Non serve un nuovo rito: basta applicare i principi già scritti nel Codice, senza temere di motivare.
Una parola finale spetta alla cultura organizzativa. L’idea che “finché il sistema non dice verde, io non pago” è il volto difensivo di un’amministrazione che abdica alla propria discrezionalità tecnica; il principio per cui “pago comunque perché devo correre” è l’altra faccia di una leggerezza che scarica sulla collettività il costo del rischio contributivo. Il nuovo diritto dei contratti chiede altro: che i responsabili usino gli strumenti digitali come protesi della decisione, non come surrogati; che sappiano distinguere l’eccezione fisiologica dal segnale di allarme; che assumano responsabilmente decisioni motivate quando la sostanza le consiglia, senza restare ostaggio di una videata. È il senso, molto concreto, della fiducia: una virtù pubblica che si traduce in atti, tempi e motivazioni, non in slogan.
La prospettiva evolutiva, per parte sua, non passa da una riscrittura delle regole, ma da tre affinamenti di sistema. Il primo è tecnologico: protocolli di interoperabilità che restituiscano esiti “parzialmente positivi” quando la posizione è regolare e l’allineamento è meramente tecnico, in modo da legittimare la liquidazione senza margini d’ambiguità lessicale. Il secondo è organizzativo: standard nazionali di motivazione e di tracciamento dei casi “in verifica”, per ridurre l’alea del contenzioso e consolidare una prassi uniforme tra stazioni appaltanti di dimensioni diverse. Il terzo è culturale: formazione mirata dei RUP e dei direttori dell’esecuzione sui nessi tra pagamenti, regolarità contributiva e rischio di filiera, perché la qualità della decisione amministrativa si gioca oggi sulla capacità di far dialogare tecnologia, diritto e responsabilità. Solo così il DURC tornerà a essere ciò che deve: non un semaforo casuale, ma un presidio intelligente di un mercato pubblico più giusto e più efficiente.










