Di Michele Mavino
L’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. Lavoro, nr 7417/2025, affronta un tema di grande interesse per la dirigenza nei Corpi di Polizia Locale: la determinazione e la modifica della retribuzione di posizione, in relazione alla “pesatura” delle funzioni dirigenziali, e i presupposti per una sua eventuale riduzione.
Il ricorrente, dirigente del Corpo di Polizia Municipale del Comune di Taormina, lamentava la riduzione progressiva della propria retribuzione di posizione, originariamente fissata con delibera di Giunta, e chiedeva il ripristino dell’importo iniziale per gli anni 2010-2013. La sua pretesa poggiava su due principali argomentazioni:
- L’assenza di una nuova valutazione (“pesatura”) delle funzioni che giustificasse la riduzione;
- L’incompetenza del dirigente del personale a modificare la retribuzione, materia che avrebbe richiesto un atto del vertice politico dell’Ente (ossia Giunta o Sindaco).
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, chiarendo diversi profili interpretativi rilevanti per la gestione delle risorse umane negli enti locali.
La natura e i limiti del potere giudiziale sulla retribuzione dirigenziale
La Corte ribadisce un principio consolidato: il giudice non può sostituirsi alla pubblica amministrazione nella valutazione delle funzioni dirigenziali, ma può solo sindacare il rispetto delle regole procedimentali, nonché degli obblighi di correttezza e buona fede. Se il dipendente ritiene che la procedura non sia stata corretta, può chiedere la ripetizione della procedura o il risarcimento del danno, ma non può esigere direttamente il pagamento dell’importo che ritiene dovutogli, come invece fatto nel caso in oggetto.
Per i Comandi di Polizia Locale ciò implica una considerazione attenta dei percorsi procedimentali relativi agli incarichi, anche in fase di contenzioso: l’azione va costruita sul difetto di istruttoria o sulla violazione delle garanzie procedurali, e non solo sulla differenza economica.
Il principio del “contrarius actus” e la competenza ad adottare la nuova pesatura
Uno degli snodi centrali era rappresentato dalla legittimità della modifica della retribuzione tramite un atto dirigenziale, in presenza di una precedente determinazione giuntale.
Il ricorrente evocava il principio del “contrarius actus” (ossia che un provvedimento può essere modificato o revocato solo da un atto dello stesso rango e organo), sostenendo che la modifica della retribuzione non potesse avvenire per via dirigenziale. Tuttavia, la Corte evidenzia che la riduzione era già stata disposta nel 2008 con atto sindacale e che l’atto dirigenziale del 2011 costituiva una mera esecuzione amministrativa. Non avendo il ricorrente contestato tempestivamente l’atto sindacale, la questione risultava ormai preclusa.
Qui emerge un passaggio importante: la mancata tempestiva impugnazione degli atti presupposti (nel caso, l’atto del Sindaco del 2008) comporta la definitiva cristallizzazione della situazione giuridica, con la conseguente impossibilità di tornare a sindacarla in sede di ricorso successivo.
Un altro elemento tecnico che ha portato all’inammissibilità del ricorso è stata la mancata riproduzione del contenuto degli atti amministrativi richiamati nel ricorso (delibere, determinazioni, ecc.). La Cassazione ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito gli elementi minimi per poter valutare se effettivamente vi fosse stata o meno una nuova pesatura.