La Cassazione sul rimborso delle spese legali ai pubblici dipendenti.
Di Giuseppe Vecchio
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n.r.g. 15279/2025) interviene sul tema “delicato” del rimborso delle spese legali sostenute dai dipendenti pubblici per fatti penalmente rilevanti connessi all’esercizio delle proprie funzioni.
Il caso prende le mosse da un procedimento penale a carico di un pubblico dipendente imputato per il reato di cui all’art. 328 c.p. scaturito da condotte poste in essere, a suo avviso, nell’ambito delle funzioni istituzionali. Nella convinzione che l’ente di appartenenza avrebbe sostenuto gli oneri legali sulla base delle previsioni contenute nel contratto collettivo nazionale e nelle normative regionali applicabili in virtù dello statuto speciale il dipendente ha autonomamente nominato un avvocato di fiducia e, solo in un secondo momento, ne ha comunicato la scelta all’amministrazione.
La Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso per ottenere il rimborso delle spese legali, affermando un principio di ordine sistematico: il diritto all’assistenza legale a carico dell’amministrazione non è automatico, ma presuppone una preventiva condivisione della scelta del difensore. In altre parole, l’ente deve poter valutare ex ante se sussistano conflitti di interesse e se il legale prescelto sia effettivamente “di comune gradimento”. La sola comunicazione successiva della nomina non è idonea a sanare la mancata interlocuzione iniziale.
La sentenza invita a riflettere su un equilibrio non semplice tra il diritto individuale del dipendente a una difesa piena e autonoma e il diritto-dovere dell’amministrazione di vigilare sull’uso corretto delle risorse pubbliche e sull’opportunità di sostenere economicamente una linea difensiva coerente con l’interesse istituzionale.
È evidente che il riconoscimento del rimborso delle spese legali in questi casi debba seguire criteri di compatibilità e ragionevolezza. Tuttavia, la rigidità della procedura solleva qualche interrogativo: è davvero sufficiente la mancata richiesta preventiva per escludere tout court ogni forma di ristoro, anche laddove il fatto sia collegato al servizio e il dipendente venga prosciolto o assolto?
Il caso mostra come la materia necessiti di una ulteriore regolamentazione nei casi evidenti di “connessione funzionale” tra il fatto e l’attività d’ufficio.