Abrogazione dell’Abuso d’ufficio

Le considerazione espresse nel pronunciamento della Corte Costituzionale.

Di Michele Giuliano Perrone

Con la sentenza n. 95 depositata il 3 luglio ultimo scorso, la Corte costituzionale si è espressa sulla fattispecie di reato prevista dall’ ex art. 323 Codice penale, ovvero l’abuso d’ufficio, abrogato con la legge 9 agosto 2024 n.114.

CHE COS’E’ L’ABUSO D’UFFICIO?

Prima della sua abrogazione l’abuso d’ufficio era un reato (ex art. 323 c.p.)che puniva il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, “nell’espletamento delle proprie funzioni, procurava a sé o agli altri un vantaggio patrimoniale”, violando specifiche regole di condotta e/o di conflitto d’interesse, arrecando danno o favorendo terzi soggetti, portatori d’interessi.

ABROGAZIONE DEL REATO

Con la Legge 9 agosto 2024 n.114, nota anche come “Legge NORDIO” – dal nome del ministro della Giustizia in carica – si apportavano delle modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare, abrogando, difatti, il reato dell’abuso d’ufficio.

Il pronunciamento della sentenza da parte dei giudici, suscitava molto interesse tra “gli addetti ai lavori” del sistema giudiziario. Molte sono le correnti di pensiero discordanti tra loro: da una parte c’è chi sostiene che l’abrogazione del reato abbia portato “un clima più sereno e senza ansie di doversi trovare eventualmente  indagati” poiché un soggetto terzo si sia sentito leso in un proprio diritto (come nel caso di politici, amministratori della “cosa pubblica”, dirigenti, funzionari e impiegati).  D’altro canto c’è chi sostiene che l’abrogazione del reato de quo, sia costituzionalmente illegittimo poiché, così facendo, si da ampio margine di discrezionalità  e di “manovra” ai soggetti già sopra menzionati.

Secondo i giudici che hanno preso in esame ben quattordici ordinanze in cui si erano mosse “questioni di legittimità costituzionale” ( di cui tredici arrivavano da giudici di merito ed una dalla Corte di cassazione) non vi è, anche alla luce della Convenzione di Mérida, “un obbligo di incriminazione per il reato abrogato di abuso d’ufficio”.

CHE COS’E’ LA CONVENZIONE DI Mérida?

La già menzionata convenzione, nota anche come “Convenzione delle Nazioni Unite” contro la “corruzione”, è un trattato di tipo “internazionale” volto a prevenire e a combattere il fenomeno della corruzione a livello mondiale. La convenzione, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è entrata in vigore il 14 dicembre 2005, affrontando varie tematiche e analizzando vari aspetti legati al fenomeno corruttivo, con punti cardine come:

  • Prevenzione della corruzione: gli Stati membri devono adottare misure preventive come codici di condotta per i pubblici ufficiali e norme chiare per pubblici appalti.
  • Criminalizzazione: gli Stati sono tenuti ad emanare reati specifici per combattere la corruzione sia nel settore pubblico che privato.
  •  Cooperazione internazionale, come l’assistenza giudiziaria reciproca tra Stati membri e l’estradizione.
  • Recupero beni: vale a dire il principio di restituzione agli aventi diritto di beni o somme di danaro ottenute illecitamente tramite fenomeni corruttivi.
  • Applicazione e monitoraggio, tramite un meccanismo di monitoraggio tra Stati aderenti.

Come abbiamo avuto modo di analizzare in queste righe, la sentenza della Consulta, apre a determinate osservazioni da parte degli “attori del sistema giudiziario italiano”, come ad esempio, dei vuoti normativi dovuti all’abrogazione del reato ex art. 323 c. p. ed un percorso interpretativo nel discutere i vari “casi” cercando di trovare di volta in volta delle “chiavi di lettura” in un’eventuale “incriminazione” di soggetti che ledano i diritti di portatori d’ interessi legittimi.

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