Operare senza le dotazioni di sicurezza può costare il posto di lavoro

Di Michele Mavino

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 23565/2025 si colloca nell’ambito del contenzioso in materia di licenziamento disciplinare, affrontando il tema della qualificazione della condotta del lavoratore – se riconducibile a negligenza oppure a insubordinazione – e della proporzionalità della sanzione espulsiva.

Il caso riguardava una guardia giurata licenziata per una serie di addebiti, tra cui il prestare servizio in più occasioni senza radio trasmittente funzionante, senza giubbotto antiproiettile a portata di mano e con mostrine e manette non autorizzate. La Corte di Appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto tali condotte idonee a integrare giusta causa di licenziamento, qualificandole come insubordinazione.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione sostenendo che i fatti avrebbero dovuto essere inquadrati come meri episodi di negligenza, riconducibili alle ipotesi sanzionabili in via conservativa dal CCNL di settore, e lamentava l’eccessiva gravità della sanzione espulsiva.

La Suprema Corte respinge il ricorso su entrambi i motivi. In primo luogo, ribadisce un orientamento consolidato secondo cui il concetto di insubordinazione non si esaurisce nel rifiuto espresso di eseguire un ordine, ma comprende ogni comportamento che denoti deliberata indifferenza o contrasto con le disposizioni datoriali e che comprometta l’organizzazione aziendale. La condotta del dipendente, reiterata e posta in essere nonostante precedenti sanzioni disciplinari, viene dunque inquadrata come vera e propria insubordinazione e non come mera disattenzione.

In secondo luogo, la Cassazione richiama il principio secondo cui la valutazione di proporzionalità tra fatto contestato e sanzione spetta al giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità, se non nei casi di motivazione del tutto mancante, contraddittoria o incomprensibile. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva ampiamente argomentato sulla gravità oggettiva (mancanza di dotazioni fondamentali per la sicurezza propria e altrui) e soggettiva (pervicacia e indifferenza rispetto alle disposizioni ricevute) della condotta, superando il livello minimo di motivazione richiesto dalla Costituzione.

Ne consegue la conferma della legittimità del licenziamento per giusta causa, con condanna del ricorrente alle spese e all’ulteriore contributo unificato.

Dal punto di vista applicativo, la decisione appare particolarmente rilevante per i settori ad alta sensibilità in tema di sicurezza, in cui la mancanza di dotazioni obbligatorie o la sottovalutazione di regole operative non viene letta come banale disattenzione, ma come violazione grave del vincolo fiduciario, capace di giustificare il recesso datoriale in tronco.

Corte di Cassazione, sezione Lavoro., ord.inanza del 19 agosto 2025, n. 23565
Presidente Leone – Relatore Amendola

Rilevato che

  1. la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato dalla (OMISSIS) Spa alla guardia giurata P.A.;
  2. la Corte ha premesso di condividere la valutazione del primo giudice nel ritenere provati i sei addebiti contestati al lavoratore e nell’inquadrarli nella fattispecie della insubordinazione prevista dal contratto collettivo quale giusta causa di recesso, ma non invece laddove ha considerato “detti addebiti non sufficientemente gravi in concreto per giustificare la sanzione espulsiva”;

la Corte ha accertato che “i fatti consistono nell’avere prestato servizio senza la radio trasmittente, o comunque senza una radio funzionante, in tre occasioni, il 6 e 7 luglio e il 19 agosto 2021, nell’avere prestato servizio senza avere nelle immediate vicinanze il giubbotto antiproiettile il giorno 19.8.2021, e nell’avere tenuto sulla divisa mostrine e manette senza autorizzazione lo stesso giorno”;

ha respinto il motivo di reclamo del lavoratore, escludendo che si tratti “di addebiti per i quali il CCNL preveda la sanzione conservativa”, atteso che “neppure il reclamante indica quale sarebbe l’ipotesi facendo solo generico riferimento alla valoriale del contratto collettivo”;

la Corte ha, invece, in accoglimento della censura formulata dalla società, ritenuto che “i sei addebiti in questione sono gravi sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo e sono qualificabili in termini di insubordinazione idonea, per tale gravità, ad integrare la giusta causa di licenziamento”;

a sostegno di tale convincimento ha così diffusamente argomentato: “Dal punto di vista oggettivo, la gravità dei fatti, soprattutto con riguardo alla mancanza della radio e del GAP, si trae all’evidenza dalle mansioni e compiti della guardia giurata che, in assenza di tali dotazioni, non è certo nelle condizioni di assolvervi adeguatamente, a tutela della sicurezza di luoghi e persone, a partire da se stesso, e in caso di pericoli ed emergenze di chiedere l’intervento delle forze di polizia tramite la centrale operativa contattabile grazie alla radio. Si trae inoltre, sempre dal punto di vista oggettivo, dalla reiterazione della condotta, dato che il lavoratore non ha portato con sé la radio per due giorni di seguito e in una terza occasione non si è premurato di verificarne il funzionamento prima di prendere servizio, per evidente trascuratezza, sull’assunto del tutto personale che non fosse necessaria né utile, potendo in ogni caso usare il cellulare, nonostante le precise disposizioni datoriali e le prescrizioni del Regolamento di Istituto. Quanto al giubbotto antiproiettile, il fatto è uno solo (anche per il 6 luglio nella relazione di servizio si diceva che il lavoratore non aveva con sé il giubbotto, non tanto che non lo indossasse, come invece poi contestato), ma non si è trattato di un fatto episodico, di una mera dimenticanza, dato che in sede di interrogatorio formale il lavoratore ha dichiarato che lo teneva sempre in macchina perché non c’erano posti dove metterlo (circostanza come visto smentita dai testi), quindi anche in questo caso di una condotta dettata dalla valutazione del tutto personale di poterlo tenere in macchina, nonostante le diverse disposizioni del datore di lavoro, a lui ben note. Dal punto di vista soggettivo la gravità della condotta si trae da quanto appena detto, per la deliberata indifferenza rispetto alle prescrizioni datoriali, come già ritenuto dal primo giudice, ciò che sostanzia la fattispecie della insubordinazione. L’elemento psicologico è inoltre tanto più grave, nel senso della pervicacia della condotta, alla luce della “storia disciplinare” del dipendente, considerato che la mancanza della radio dei giorni 6 e 7 luglio gli è stata contestata con comunicazioni del 12.7.2021 (da lui ricevute il 27.7.2021) e gli erano state perciò irrogate due sanzioni disciplinari di una certa gravità (tre giorni e sei giorni di sospensione), con provvedimento del 29.7.2021 da lui ricevuto il giorno 18.8.2021. Ebbene, nonostante ciò, il giorno 19.8.2021 il lavoratore presta servizio con la radio scarica, senza premurarsi di verificarne il regolare funzionamento come prescritto. Sempre sul piano dell’elemento soggettivo, rilevano poi gli addebiti riguardanti le manette e le mostrine sulla divisa che, pur non essendo gravi come i precedenti, si pongono come una iniziativa del tutto estemporanea del lavoratore e denotano anch’essi la volontà di affermare le proprie determinazioni in contrasto con le prescrizioni datoriali”;

  1. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con due motivi; ha resistito con controricorso l’intimata società;

entrambe le parti hanno comunicato memorie;

all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

  1. i motivi di ricorso possono essere enunciati secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente;

1.1. col primo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 del C.C.N.L. per i dipendenti da Istituti e Imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari, nonché dell’art. 18, comma 4, Legge n.300 del 1970, artt. 2106 e 2119 C.c., art. 30, Legge n.183 del 2010, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”; si rileva “la mancata riconduzione delle condotte fondanti il licenziamento nell’ambito delle fattispecie disciplinari punite con sanzione conservativa dal C.C.N.L. applicato, in quanto le stesse risultano esser state erroneamente ricondotte nell’ambito della nozione di in luogo di quella di ”;

1.2. con il secondo motivo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 5, Legge n.300 del 1970, nonché art. 2119 C.c. in connessione con l’art. 101 C.C.N.L. per i dipendenti da Istituti e Imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari, (art. 360 c.p.c., comma 1, n.3)”; si rappresenta “l’erronea riconduzione della fattispecie disciplinare nell’ambito della giusta causa, con particolare riferimento ai dettati dell’art.101, lett. D) del C.C.N.L. applicato in tema di gravità e proporzionalità della sanzione, evidenziando la mancata declaratoria di illegittimità del licenziamento e conseguente mancata applicazione delle tutele indennitarie dell’art. 18, comma 5, Legge 300 del 1970”;

  1. il ricorso non può trovare accoglimento;

2.1. il primo motivo, formulato come denuncia di un error in iudicando, si traduce inammissibilmente in un diverso apprezzamento dei fatti che hanno dato luogo al licenziamento, i quali, secondo la Corte territoriale ma anche per il giudizio di prime cure, non sono il frutto di una mera condotta negligente – e quindi soggettivamente colposa – del lavoratore, ma piuttosto di “una deliberata indifferenza rispetto alle prescrizioni datoriali”, tanto da configurare una vera e propria “insubordinazione”;

ciò in conformità con la giurisprudenza da tempo praticata da questa Corte che privilegia una nozione ampia di insubordinazione nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, che non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori (e dunque ancorata, attraverso una lettura letterale, alla violazione dell’articolo 2104 c.c., comma 2), ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale (cfr. Cass. n. 5804 del 1987; Cass. n. 9635 del 2016; Cass. n. 7795 del 2017; Cass. n. 9736 del 2018; Cass. n. 22382 del 2018; Cass. n. 3277 del 2020; Cass. n. 13411 del 2020; Cass. n. 7795 del 2021);

2.2. il secondo motivo, che sostanzialmente sollecita un sindacato sulla mancanza di proporzionalità tra condotta accertata e massima sanzione disciplinare inflitta, è inammissibile;

secondo un risalente e costante insegnamento, infatti, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass n. 107 e 8642 del 2024; Cass. n. 10621 del 2021; Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003).

la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, deve denunciare l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016);

ciò che non è neppure prospettato col motivo in esame, mentre la Corte territoriale ha diffusamente argomentato sulla gravità oggettiva e soggettiva della condotta contestata, con una motivazione ben oltre la soglia del cd. “minimum” costituzionale;

  1. conclusivamente, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso;

le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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