Riforma della polizia locale: compare un interessante dossier, ma è ancora tutto fermo

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Di Michele Mavino

Nelle aule parlamentari prosegue – sebbene con ritmi molto lenti – il percorso di una riforma che avrebbe un impatto profondo sul futuro della polizia locale italiana. Si tratta del Disegno di legge S.704, presentato il 16 maggio 2023 dal senatore Romeo e altri firmatari, e assegnato alla 1ª Commissione Affari Costituzionali l’8 giugno 2023. Da allora, però, l’esame non è mai formalmente iniziato. Il DDL risulta infatti ancora “assegnato ma non avviato”, con la richiesta di pareri a numerose commissioni ma senza calendarizzazione sostanziale.

In altre parole: la riforma è sul tavolo, ma il percorso legislativo è ancora fermo ai blocchi di partenza. In compenso, sul portale del Senato, il 31 novembre è comparso un dossier che illustra i principali intendimenti della nuova normativa organica, anche perchè sarà necessaria l’acquisizione dei preliminari pareri di numerose commissioni che potrebbero modificarne radicalmente i contenuti.

Il DDL parte da un presupposto chiaro: le competenze e le aspettative nei confronti della polizia locale sono radicalmente cambiate, mentre il quadro normativo non ha seguito la stessa evoluzione. Da qui la scelta – forte e simbolica – di abrogare integralmente la L. 65/1986 per sostituirla con una disciplina moderna, ampiamente modellata anche sull’esperienza lombarda (L.R. 6/2015).

Il testo propone una visione nuova, che prevede la centralità dei comuni e delle regioni nelle politiche di sicurezza urbana il riconoscimento pieno del ruolo della polizia locale come servizio strutturato, professionale e continuativo ed un coordinamento reale con Stato e Prefetture, superando la frammentazione attuale.

Un punto chiaro è quello di mantenere separati la “sicurezza urbana” dall’ordine e sicurezza pubblica, confermandone la natura di competenza locale. Rimangono salde le prerogative del Prefetto e delle Forze di polizia statali, ma la sicurezza urbana viene riconosciuta come funzione autonoma degli enti territoriali, centrata su vivibilità, decoro, prevenzione del degrado e coesione sociale.

L’articolo 2 fornisce una serie di definizioni che rappresentano la base dell’intera riforma:

Il DDL dedica l’intero Capo II al tema del coordinamento istituzionale.
Sono previste:

  • Regolamenti di polizia urbana più incisivi, volti a contrastare degrado, inciviltà e situazioni di rischio sociale (art. 3).
  • Scambio sistematico di informazioni tra Comuni, Regioni e Stato, anche attraverso piattaforme digitali interoperabili (art. 4).
  • Accordi territoriali di sicurezza per integrare le politiche locali con le competenze statali, con particolare attenzione al controllo integrato del territorio, alla formazione comune e all’interconnessione delle sale operative (art. 5).
  • Conferenze regionali sulla sicurezza urbana, convocate dal Ministero dell’Interno, con ruolo di monitoraggio e impulso (art. 6).

L’articolo 7 rappresenta una vera riscrittura delle competenze della polizia locale. Qui non si riscontrano grandi novità, se non la formalizzazione del supporto alla protezione civile e dei compiti di segnalazione e monitoraggio dei servizi pubblici. L’estensione territoriale per alcune funzioni (stradale, PG, calamità) viene ampliata all’intero ambito provinciale o metropolitano.

Il Capo III ridisegna lo status giuridico dell’operatore, co la previsione di cinque qualifiche: agente, coordinatore, ufficiale, dirigente operativo, comandante (art. 8), l’attribuzione automatica della qualità di PG e PPS, con una procedura di comunicazione semplificata verso il Prefetto, il principio di esclusività della funzione (gli operatori non possono essere distolti per attività amministrative estranee) e l’adozione di uniformi, gradi e livree dei veicoli uniformati a livello nazionale (entro 6 mesi).

Si tratta di un passo verso un riconoscimento più chiaro della professionalità e delle responsabilità degli operatori.

Il Capo IV attribuisce alle Regioni un ruolo strategico nel definire requisiti minimi dei corpi, stabilire forme associative obbligatorie, disciplinare mezzi, dotazioni e sistemi informatici, istituire scuole regionali e piani formativi omogenei, creare elenchi regionali dei comandanti, con condizioni di accesso (laurea, anzianità, corsi dedicati).

Importanti i contenuti del Capo V, con disposizioni rilevanti in tema di armamento con porto fuori servizio e fuori territorio (art. 15), strumenti di autotutela obbligatori (manette, DPI, bodycam, sistemi di geolocalizzazione, etc.) (art. 16), patente di servizio obbligatoria e targhe speciali per i veicoli (art. 17), accesso gratuito alle banche dati del Ministero dell’Interno e del PRA, con reciproca trasmissione delle informazioni (art. 18), integrazione con il NUE 112 (art. 19).

A fronte di queste novità funzionali, il DDL affronta anche il tema delle condizioni economiche e giuridiche, prevedendo:

  • creazione di due sezioni contrattuali dedicate alla polizia locale all’interno del Comparto Funzioni Locali;
  • possibile allineamento parziale, ove compatibile, al CCNL delle Forze di polizia statali (art. 20);
  • tutele previdenziali e assicurative equiparate alla Polizia di Stato, incluse le norme su vittime del dovere (art. 21);
  • utilizzo di una quota del 10% dell’art. 208 CdS per finanziare il sistema.

Come detto, il dossier sembra quasi un lungo elenco di desiderata, su molti dei quali c’è da aspettarsi una dura battaglia sia nelle commissioni che in Parlamento. Rispetto al passato, però, è già importante che la riforma della Polizia Locale sia un tema di cui si parla con una certa frequenza.

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