Curriculum ritoccato e selezioni pubbliche

Il Consiglio di Stato chiarisce quali sono le conseguenze.

Di Michele Mavino

La sentenza del Consiglio di Stato nr 5020/2025 affronta un tema di grande rilievo per il sistema delle procedure concorsuali, vale a dire la rilevanza delle dichiarazioni non veritiere rese dai candidati e le conseguenze giuridiche in termini di esclusione dal concorso, ai sensi degli artt. 46 e 75 del d.P.R. 445/2000.

L’Università “La Sapienza” di Roma aveva indetto una procedura di chiamata per un posto di professore ordinario di prima fascia, ai sensi della legge n. 240/2010. In una prima fase, la Commissione aveva proclamato vincitore un candidato che, tuttavia, era stato oggetto di contestazioni per avere dichiarato nel curriculum tre brevetti, quando in realtà solo uno era già stato concesso, mentre gli altri due erano semplici domande pendenti.

Il TAR Lazio, investito della questione, aveva accolto il ricorso dell’altro candidato, annullando gli atti e disponendo la rinnovazione della procedura con l’esclusione del primo professore, applicando l’art. 75 del d.P.R. 445/2000. Avverso tale sentenza è stato proposto appello, respinto dal Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato concentra l’analisi su due punti fondamentali:

L’ambito applicativo dell’art. 46 d.P.R. 445/2000: i brevetti rientrano tra le “qualificazioni tecniche” che possono essere autocertificate. Di conseguenza, dichiararli nonostante fossero solo domande pendenti integra una dichiarazione non veritiera.

Le conseguenze ex art. 75 d.P.R. 445/2000: la norma prevede la decadenza dai benefici derivanti da dichiarazioni mendaci. Non si tratta di una sanzione penale, ma di una misura amministrativa automatica, che trova applicazione indipendentemente dall’esito di eventuali procedimenti penali.

La difesa dell’appellante, secondo cui la non veridicità non avrebbe inciso sostanzialmente sulla valutazione della Commissione, viene respinta: la ratio delle norme sulle autocertificazioni non è solo evitare errori materiali, ma anche garantire parità di condizioni e trasparenza tra tutti i concorrenti.

Un passaggio particolarmente rilevante della sentenza riguarda l’equiparazione tra quanto dichiarato nel curriculum vitae e quanto indicato nella domanda di partecipazione. Il Consiglio di Stato afferma che la distinzione formale è irrilevante: se il bando impone che il curriculum sia allegato alla domanda e autocertificato, anche i dati riportati nel CV assumono valore di dichiarazioni sostitutive. Pertanto, una falsità nel curriculum equivale a una falsità nella domanda.

La decisione si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato: le dichiarazioni mendaci nei concorsi pubblici comportano l’automatica esclusione del candidato, indipendentemente dall’impatto concreto sul punteggio o sulla graduatoria. Non esistono “falsi innocui”, perché la funzione della norma è preventiva e garantista, volta a tutelare sia l’interesse pubblico sia gli altri concorrenti.

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