Per il Viminale è legittimo l’accesso del Consigliere per comprenderne le ragioni.
Di Michele Mavino
La richiesta di accesso agli atti da parte di un consigliere comunale si colloca nell’ambito del diritto di informazione e di controllo riconosciuto agli eletti dagli articoli 43 del D.Lgs. 267/2000 (TUEL) e, di norma, dallo statuto e dal regolamento del consiglio comunale.
Questo diritto è funzionale all’espletamento del mandato e, pertanto, presenta un’estensione più ampia rispetto all’accesso civico o documentale previsto dalla legge n. 241/1990.
In base alla giurisprudenza consolidata (Cons. Stato, sez. V, n. 3905/2021; TAR Lazio, Roma, n. 11438/2023), il consigliere ha diritto di prendere visione di tutti gli atti detenuti dal Comune, anche riservati, purché collegati all’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo.
Il limite è rappresentato unicamente:
- dal divieto di utilizzo dei dati per fini estranei al mandato;
- e dalla tutela della riservatezza di terzi, in particolare per i dati sensibili o giudiziari, che impone un accesso “mediato”, ossia con oscuramento o consultazione assistita.
Per quanto riguarda il parere ministeriale, il documento fa riferimento a un’interlocuzione tra il consigliere e il Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, a conferma del rilievo istituzionale assunto dalla vicenda.
È probabile che il consigliere lamentasse un diniego o una limitazione dell’accesso da parte dell’amministrazione comunale, chiedendo chiarimenti ministeriali sulla corretta interpretazione dell’art. 43 TUEL.
La posizione ministeriale, in linea con precedenti circolari (ad esempio la n. 1/2019 del Ministero dell’Interno), tende a riaffermare che:
- il diritto del consigliere è ampio e immediatamente esercitabile;
- il Comune non può subordinarlo a motivazioni puntuali o ad autorizzazioni;
- l’eventuale rifiuto deve essere specificamente motivato e limitato ai casi in cui vi sia un concreto rischio di lesione di diritti di terzi.
Pertanto, eventuali prassi di diniego generalizzato o di filtraggio eccessivo da parte degli uffici sono illegittime, potendo configurare violazione dei doveri d’ufficio e, in taluni casi, responsabilità amministrativa o disciplinare.









