Di Carmine Soldano
Con una decisione destinata ad avere un impatto rilevante nelle aule di giustizia e nel dibattito pubblico sulla tutela delle forze dell’ordine, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 172/2025, ha dichiarato illegittima la norma che escludeva in modo categorico l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) nei casi di violenza o minaccia a pubblico ufficiale (artt. 336 e 337 c.p.), quando commessi ai danni di agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria. La questione era stata sollevata dal Tribunale di Firenze, chiamato a giudicare una vicenda avvenuta durante una manifestazione politica del 2019, in cui un’imputata, incensurata, di corporatura minuta e affetta da patologia oncologica, nel tentativo di entrare in un evento a capienza esaurita, aveva dapprima toccato un agente con un dito e poi, nel concitato rifiuto opposto al blocco, gli aveva sferrato uno schiaffo. Un gesto certamente improprio, ma valutato dal giudice come un atto “di modesta violenza”, potenzialmente rientrante nella tenuità del fatto.
- IL CUORE DELLA DECISIONE: IRRAGIONEVOLE PUNIRE PIÙ SEVERAMENTE IL REATO MENO GRAVE
I magistrati costituzionali ribaltano un precedente orientamento del 2021 e affermano un principio chiaro: è manifestamente irragionevole ammettere la tenuità del fatto per il reato più grave, e negarla per quello meno grave. Infatti, dopo le riforme del 2022, è divenuto ammissibile il 131-bis anche per il più serio reato di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 338 c.p.), punito con pena minima di un anno, a fronte dei sei mesi previsti per gli artt. 336 e 337 c.p. Dunque, la logica punitiva, secondo la Corte, risulta capovolta: il sistema permette la non punibilità per una minaccia rivolta a un organo collegiale, ma la vieta per la resistenza al singolo agente. Un’incoerenza che, secondo i giudici, viola il principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
- IL LEGISLATORE PUÒ TUTELARE GLI AGENTI, MA NON IN MODO IRRAZIONALE
La Corte non mette in discussione l’esigenza di garantire una tutela rafforzata agli operatori di polizia. Tuttavia, ribadisce che le scelte legislative devono restare coerenti e non contraddittorie. Infatti, il legislatore – si legge nella motivazione – ha definito esso stesso la maggiore gravità della fattispecie ex art. 338 c.p. rispetto agli artt. 336 e 337 c.p. e non può, senza cadere in manifesta incongruenza, disconoscerla ai fini dell’art. 131-bis. Ancora, neppure la recente aggravante introdotta dal Decreto Sicurezza 2025 (D.L. 48/2025) a tutela degli agenti modifica questo squilibrio.
- LA QUESTIONE SULL’AGGRAVANTE NELLE MANIFESTAZIONI POLITICHE VIENE ASSORBITA
Il Tribunale di Firenze aveva sollevato anche un secondo dubbio di costituzionalità, relativo all’aggravante dell’art. 339 c.p. nei reati commessi durante manifestazioni in luogo pubblico, ipotizzando un’ingerenza eccessiva sulle libertà di riunione (art. 17 Cost.) e di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.). Tuttavia, la Consulta non entra nel merito dacché una volta accolta la questione principale, il secondo profilo viene dichiarato assorbito.
- GLI EFFETTI DELLA SENTENZA: PIÙ SPAZIO ALLA VALUTAZIONE DEL GIUDICE, NON UN “LIBERI TUTTI”
La Corte chiarisce che l’art. 131-bis:
- non è automatico;
- non si applica in presenza di fatti gravi;
- richiede una valutazione stringente su modalità del fatto, danno, intensità offensiva e personalità dell’imputato.
Apertis verbis: la sentenza non depotenzia la tutela degli agenti, ma elimina un divieto rigido e irrazionale, restituendo al giudice la possibilità di graduare la risposta penale quando la violenza sia effettivamente minima.
- UNA DECISIONE CHE RILANCIA IL DIBATTITO POLITICO
Il tema non è neutro sul piano politico. Le norme censurate erano state introdotte nei “pacchetti sicurezza” con l’obiettivo di offrire un segnale di fermezza contro le aggressioni alle forze dell’ordine.
La sentenza n. 172/2025 invita però il legislatore a perseguire tale obiettivo con strumenti coerenti, proporzionati e rispettosi del principio di uguaglianza.










