L’assoluzione non basta se c’è negligenza.
Di Francesco De Sanctis
Un dipendente pubblico che viene assolto in un processo penale ha automaticamente diritto al rimborso delle spese legali sostenute? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce una risposta chiara e articolata, sottolineando che l’assoluzione da sola non è sufficiente. Se emerge un conflitto di interessi, legato anche a una condotta semplicemente negligente, il rimborso spese legali del dipendente pubblico può essere legittimamente negato.
La Corte di Cassazione, investita del ricorso di un dipendente pubblico, ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando le doglianze del ricorrente. La Suprema Corte ha chiarito un principio fondamentale: la valutazione sull’esistenza di un conflitto di interessi che impedisce il rimborso spese legali al dipendente pubblico non si esaurisce con la verifica dell’esito del processo penale.
I giudici hanno spiegato che la decisione della Corte d’Appello si fondava su due pilastri autonomi e distinti:
1. Il conflitto di interessi derivante dalla costituzione del Comune come parte civile;
2.  Il conflitto di interessi derivante dalla condotta negligente del dirigente, valutata a prescindere dalla sua rilevanza penale.
Poiché anche solo una di queste motivazioni è sufficiente a sorreggere la decisione, la Cassazione ha esaminato le censure del ricorrente contro la seconda ratio, ritenendole infondate.
La Corte ha sottolineato che il giudizio sulla conformità dell’operato del dirigente alle regole di prudenza e correttezza è un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici manifesti, che in questo caso non sono stati riscontrati. La Corte d’Appello aveva compiutamente analizzato le sentenze penali e aveva concluso che, sebbene le azioni del dirigente non integrassero gli estremi del reato di abuso d’ufficio o di truffa, buona parte delle sue condotte non potevano considerarsi frutto di un esercizio diligente della funzione pubblica.
In sostanza, la Cassazione afferma che l’assenza di un reato non significa automaticamente che il comportamento del dipendente sia stato impeccabile e pienamente conforme all’interesse pubblico. Una condotta negligente, che viola i doveri di diligenza e correttezza, può creare una divergenza di interessi tra il dipendente e l’amministrazione, giustificando il diniego del rimborso delle spese legali. Poiché questa motivazione era solida e ben argomentata, le critiche del ricorrente sono state respinte, rendendo inammissibile per difetto di interesse l’esame delle censure relative alla prima motivazione (quella sulla costituzione di parte civile).
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Il diritto al rimborso delle spese legali per un dipendente pubblico non è un automatismo conseguente all’assoluzione. L’amministrazione ha il diritto e il dovere di valutare la condotta complessiva del proprio dipendente. Se da questa valutazione emerge una gestione negligente della cosa pubblica, che ha dato origine al procedimento penale e ha creato un potenziale danno all’ente, sussiste un conflitto di interessi che legittima il rifiuto di accollarsi le spese di difesa. L’assoluzione penale esclude la responsabilità penale, ma non cancella necessariamente la responsabilità disciplinare, contabile o, come in questo caso, la mancanza di diligenza che può interrompere il legame di immedesimazione organica tra il funzionario e l’ente.









