Dipendenti con funzioni sindacali e conflitto di interessi

Di Francesco De Santis

L’Anac, nel parere consultivo del 18 giugno 2025, ha chiarito che per due semplici istruttori amministrativi eletti come dirigenti sindacali Rsu non sussiste incompatibilità ai sensi dell’articolo 53, comma 1-bis, del Dlgs 165/2001, norma che si applica invece ai dirigenti delle strutture di gestione del personale. Per quanto riguarda il possibile conflitto di interessi, la valutazione deve essere effettuata caso per caso, ed è rilevante solo se si verifica una situazione in cui l’interesse pubblico viene deviato a favore di interessi privati, diretti o indiretti, del funzionario pubblico. Il fatto che un dirigente sindacale svolga mansioni come la predisposizione dei cedolini o attività correlate non implica automaticamente un rischio di conflitto, a meno che non vi sia un interesse personale che comprometta l’imparzialità dell’azione amministrativa. È compito dell’amministrazione verificare concretamente la presenza di situazioni di conflitto e adottare misure specifiche, quali la redistribuzione di compiti o il trasferimento di alcune attività a terzi, per prevenire tali conflitti.

Si precisa che l’art. 53, co. 1-bis citato, prevede che “non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni”.

Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della citata norma, il DFP con la circolare n.

11/2010 del 6 agosto 2010, ha precisato che “l’impedimento concerne innanzi tutto gli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Il vincolo di incompatibilità sussiste anche nei confronti di tutti i dirigenti che vengono preposti in base al comma 5-bis e ai soggetti incaricati ai sensi del comma 6 del citato articolo. (…) la norma si applica inoltre a tutte le ipotesi in cui sia conferito con atto formale un incarico sulle strutture deputate alla gestione del personale. Sono comprese nel campo di applicazione anche le strutture prive di rilevanza esterna e, quindi, la disposizione riguarda pure l’attribuzione di posizioni organizzative e di competenza mediante delega”.

Il caso sottoposto all’esame dell’Autorità si riferisce, invece, a due semplici istruttori amministrativi divenuti dirigenti sindacali in quanto eletti RSU. Ciò è sufficiente a ritenere che non sussista, nel caso di specie, l’ipotesi di formale incompatibilità prevista dalla norma sopracitata che, infatti, attrae nel suo campo di applicazione i dirigenti di strutture deputate alla gestione del personale e non dipendenti con qualifica di “Istruttori amministrativi”.

Sul conflitto di interesse ai sensi del D.P.R. 62/2013, va evidenziato che lo stesso si realizza nel caso in cui l’interesse pubblico venga deviato per favorire il soddisfacimento di interessi privati, di cui sia portatore direttamente o indirettamente il pubblico funzionario. La nozione di conflitto presenta un’accezione ampia, dovendosi attribuire rilievo “a qualsiasi posizione che potenzialmente possa minare il corretto agire amministrativo e compromettere, anche in astratto, l’imparzialità richiesta al dipendente pubblico nell’esercizio del potere decisionale” (PNA 2019).

Nel nostro ordinamento non esiste una definizione univoca e generale di “conflitto di interessi”, né una norma che preveda analiticamente tutte le ipotesi e gli elementi costitutivi di tale fattispecie. Secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa, la situazione di conflitto di interessi si configura quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico alla cui cura è preposto.

Alla luce di quanto sopra esposto, occorre valutare se nel caso prospettato possa venire in rilievo una ipotesi di conflitto di interessi che si realizza, come sopra chiarito, laddove l’interesse pubblico venga deviato per favorire il soddisfacimento di interessi privati, di cui sia portatore direttamente o indirettamente il pubblico funzionario.

La circostanza che un dirigente sindacale sia anche addetto a predisporre i cedolini dei dipendenti e le varie altre attività correlate non implica di per sé un rischio di conflitto di interessi, a meno che intervenga un interesse personale che possa ledere l’imparzialità dell’azione amministrativa.

Pertanto, i soggetti che incorrono in una situazione di un conflitto di interessi anche solo potenziale hanno il dovere di segnalarlo, ed astenersi dall’esercizio della funzione amministrativa.

All’amministrazione è demandato il compito di verificare in concreto la sussistenza di situazioni di conflitto di interessi dei dipendenti pubblici che siano anche dirigenti sindacali, individuando nel PTPCT e nel Codice di comportamento specifiche misure per prevenirli quali ad esempio il trasferimento di alcune competenze ad altri dipendenti o, addirittura, assegnando a tali dipendenti “attività” che non possano generare conflitti di interessi con il loro ruolo in ambito sindacale.

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