PODCAST – Non è solo “ferraglia”

Ogni veicolo abbandonato è una bomba ecologica.

Di Giuseppe Vecchio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13282 del 2025, ha affrontato nuovamente il tema troppo spesso trascurato della gestione illecita dei veicoli fuori uso, stabilendo che la presenza per un tempo prolungato di un’autovettura dismessa su area pubblica, in assenza di qualsiasi attivazione delle procedure previste per il corretto smaltimento, configura a tutti gli effetti una gestione non autorizzata di rifiuti ai sensi dell’art. 256 del D.lgs. 152/2006.

Una decisione che, da un lato, appare giuridicamente ineccepibile e per certi versi, persino scontata; dall’altro, si rivela necessaria in un contesto in cui il concetto stesso di “rifiuto” soprattutto quando riguarda i veicoli viene spesso eluso o trattato come un semplice problema di “decoro urbano” piuttosto che come un tema ambientale.

Ma la sentenza spinge a riflessioni che vanno be oltre la norma penale. La gestione dei rifiuti specie quelli di natura “pericolosa” e/o “speciale”, come i veicoli fuori uso rappresenta un “termometro” della civiltà amministrativa e della legalità diffusa. Quando un’auto distrutta resta per mesi in una strada cittadina, esposta alle intemperie, visibile a tutti e ignorata da chi dovrebbe intervenire, non siamo solo in presenza di un illecito ambientale, ma anche di un vero e proprio cortocircuito istituzionale. Le responsabilità individuali del soggetto privato in questo caso il gestore di un’officina non possono infatti oscurare la latitanza operativa delle autorità competenti, spesso focalizzate su altre priorità nel controllo del territorio.

La sentenza ha il merito di ribadire un principio fondamentale: un veicolo fuori uso non è più un mezzo di trasporto, ma un rifiuto, e in quanto tale soggetto a una disciplina rigorosa. In particolare, quando il veicolo contiene ancora liquidi, oli, batterie o componenti elettroniche, esso rientra nella categoria dei rifiuti pericolosi, identificati con il codice CER/EER 160104. Ciò comporta una filiera tracciabile di gestione: conferimento a soggetti autorizzati, documentazione dei passaggi, rispetto delle regole in tema di deposito temporaneo, trasporto e smaltimento.

Non rileva, quindi, la presenza della targa o la mera intenzione del detentore di smontare l’auto “pezzo per pezzo” per vendere le singole componenti: in assenza di specifici titoli abilitativi come l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali ed in mancanza di documentazione idonea a tracciare le attività svolte, si è comunque in presenza di un’attività illecita.

La Cassazione ha dunque sgombrato il campo da ogni ambiguità: non esistono “zone grigie” per chi tratta veicoli fuori uso al di fuori dei canali autorizzati. Né può valere l’argomento della temporaneità del deposito o della futura alienazione a pezzi: il principio di precauzione ambientale e il rigoroso regime di tracciabilità impongono che ogni fase sia documentata, tracciata, legalmente conforme.

Insomma la “legalità ambientale” non ammette scorciatoie né tollera leggerezze.

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