Paventata una richiesta di risarcimento per produttori e distributori degli strumenti.
Di Giacomo Pellegrini
Ampio risalto ha avuto sulla stampa, in questi giorni, la notizia della diffida, partita una società che, tra le proprie attività, commercializza anche strumentazioni per il controllo elettronico della velocità, nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, per sollecitare una rapida via d’uscita dalla situazione di “impasse” che, ormai da circa un anno e mezzo, caratterizza il tema dell’impiego di questi strumenti per il controllo elettronico della velocità. Tutto ha preso il via dalla ormai nota ordinanza della Corte di Cassazione n°10505 pubblicata nell’aprile del 2024, che ha evidenziato la necessità di omologazione, in luogo dell’approvazione, per tali apparecchiature. Nella stessa decisione si leggeva infatti che “Senonché, è evidente che il citato art. 45, comma 6, c.d.s. – per quanto già posto in risalto in precedenza – non opera alcuna equiparazione tra approvazione e omologazione. Al contrario, esso distingue nettamente i due termini, da ritenersi perciò differenti sul piano formale e sostanziale, giacché intende riferirsi a tutti i “mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni”, taluni dei quali destinati ad essere necessariamente omologati (quali, per l’appunto, i dispositivi demandati specificamente al controllo della velocità, stante l’inequivocabile precetto 142, comma 6, c.d.s., laddove l’utilizzo dell’espressione “debitamente omologati” impone necessariamente la preventiva sottoposizione del mezzo di rilevamento elettronico a tale procedura e che, solo se assolta, è idonea a costituire “fonte di prova” per il riscontro del superamento dei prescritti limiti di velocità: in claris non fit interpretatio) e altri per i quali è sufficiente la semplice approvazione (perciò, certamente non bastevole, da sola, per far considerare legittimo l’accertamento della velocità veicolare a mezzo autovelox)“.
Da qui la necessità di chiarire, una volta per tutte, tale diatriba, alla quale però, fino ad oggi, né il legislatore, né i vari dicasteri interessati, sono riusciti a dirimere. Un tentativo era stato fatto nel marzo 2025 dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, predisponendo una bozza di decreto che avrebbe dovuto definire le procedure di omologazione di tali strumenti, oltreché una sorta di “omologazione d’ufficio” per le apparecchiature approvate dopo l’entrata in vigore del decreto 13 giugno 2017, ma tale provvedimento non è mai entrato in vigore perché ritirato prima della sottoscrizione definitiva. Ulteriore tassello è stato l’avvio del censimento, da effettuarsi sul “Portale dell’automobilista” da tuti gli organi di polizia stradale, con il quale avere un quadro complessivo della situazione relativa agli strumenti di controllo della velocità in uso in Italia ma, da qui a risolvere il polverone sollevato dalla Suprema Corte, il cammino pare ancora lungo.
La diffida di questa azienda, che minaccia l’avvio di controversie legali per i danni ad essa arrecata a causa del crollo della vendita di tali strumenti, mira proprio a stimolare l’avvio di una definitiva azione da parte dei soggetti competenti, al fine di regolamentare una volta per tutte, stavolta in conformità al dettato normativo, una materia così delicata.









