Quando l’esperienza non basta

Di Giuseppe Vecchio

La sentenza 9240/2025 della Corte di Cassazione riporta al centro dell’attenzione una questione che, a prima vista, potrebbe sembrare appartenere a una stagione normativa “superata”: il divieto di utilizzare graduatorie interne per le progressioni verticali nella pubblica amministrazione, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 150/2009.

Nel caso deciso dalla Corte, si è escluso che un dipendente comunale, già inserito in una graduatoria interna relativa a una progressione tra categorie, potesse vantare un diritto alla progressione dopo la riforma Brunetta. La motivazione, coerente con un consolidato orientamento giurisprudenziale, si fonda sul principio, ormai fermo, per cui le progressioni verticali tra aree funzionali devono avvenire esclusivamente mediante pubblico concorso, con una eventuale riserva non superiore al 50% per il personale interno, secondo quanto previsto dall’art. 52, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001 rendendo di fatto inutilizzabili dal 1 Gennaio 2010 le “graduatorie interne”.

Tuttavia, sebbene corretta sotto il profilo della ricostruzione normativa e costituzionale, la pronuncia solleva interrogativi sul piano dell’attualità e dell’evoluzione della disciplina. Proprio negli ultimi anni, infatti, sono stati introdotti numerosi interventi legislativi – spesso emergenziali o transitori – che hanno riaperto alla possibilità di progressioni verticali in deroga, anche senza concorso pubblico, per valorizzare il personale già in servizio. Si pensi, ad esempio, alle disposizioni contrattuali basate sulla novella dell’art. 52 del D.lgs. n. 165/2001 che prevedono la possibilità per gli enti di procedere, in via straordinaria e per un periodo limitato, a progressioni tra aree con modalità semplificate, anche solo per titoli e colloqui.

In questo quadro, il rigore formale della sentenza Cassazione 9240/2025 rischia di apparire, sotto alcuni profili, anacronistico. Non per una sua carenza tecnica che non c’è ma perché fotografa un’epoca normativa in fase di superamento, o quanto meno di progressiva revisione. La centralità esclusiva del concorso pubblico è oggi bilanciata da esigenze di valorizzazione del personale interno, di continuità amministrativa e di efficienza organizzativa.

Ciò non significa abbandonare i principi costituzionali di imparzialità e trasparenza, ma piuttosto interrogarsi su come essi possano convivere con l’evoluzione delle esigenze della pubblica amministrazione e con la necessità di trattenere e motivare le professionalità già in servizio.

La vicenda trattata nella sentenza in questione offre quindi l’occasione per riflettere non solo sul passato, ma anche sul futuro delle progressioni verticali: un ambito in cui la normativa, la giurisprudenza e la prassi amministrativa sono ancora alla ricerca di un equilibrio stabile tra legalità, merito ed efficienza.

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